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Comeinventare il punk senza dirlo a nessuno
I 5 di Tacoma, nel 1966, erano all’apice del loro successo e aprivano i concerti di Kinks e Beach Boys quando transitavano nello stato di Washinghton; le radio locali passavano in continuazione le loro hit da The Witch a Psyco; erano pronti per un tentativo di lancio su scala nazionale; ma erano anche totalmente estranei a ogni sommovimento musicale e sociale dell’epoca. Introducing the Sonics, del 1966, primo album per la Jerden, fu il loro tentativo di sfondare sul mercato nazionale. Inevitabile, per una distribuzione più massiva, ripiegare su una produzione maggiormente levigata e su un suono più pulito e morbido. L’influenza maggiore non sono più i Kinks quanto i più seriosi e composti Yardbirds; anche la copertina preferisce alle tonalità scure e monocromatiche, dei bei riflessi verde acido. I 5 musicisti sono perfino ritratti abbigliati in ghingheri con gilet spagnoleggiante. Fu inevitabilmente un errore madornale: vero è che forse il loro sound e il loro atteggiamento non avrebbero mai sfondato nell’americano medio, ma è vero anche che quando si altera e si snatura un meccanismo collaudatissimo e artisticamente impeccabile, si finisce sempre per perdere l’identità propria di una band. L’identità dei Sonics era legata a elementi semplici e generalissimi: volume, minimalismo produttivo, impulsività; tre caratteri in realtà non così facili da riprodurre in studio e fissare su vinile; furono i primi a essere persi. Non che l’album sia mediocre, anzi è perfettamente sintonizzato sulle frequenze del momento: pieno di effetti e di riverberi, anche di lunghe parti strumentali; sorprende in tutto questo la presenza dei vecchi classici The Witch e Psycho, avulsi dal contesto come due reperti neolitici in un Oxygen Bar di Amsterdam: salta agli occhi (e alle orecchie) lo scarto con il vecchio sistema di sottoproduzione, tanto da sembra che le stesse canzoni siano opera di gruppi diversi. Eppure il riff discendete di I’m going home è efficace e la canzone ossessiva e martellate; non sono male neanche You Got Your Head on Backwards e I'm a Man, suonate in puro stile “blues revival” inglese (Stones e Yardbirds su tutti). Certamente manca la hit clamorosa, quella con la possibilità di trascinarsi l’intero album dietro, la Pushin’ too hard (dei Seeds) o la Psychotic Reaction (dei Count Five) di turno, capaci da sole di illuminare LP altrimenti alquanto di routine. Così finisce che le tracce migliori sono le cover delle “vecchie” Bama Lama Bama Loo e Diddy Wah Diddy più congeniali all’approccio scatenato di un tempo.
Pur mettendoci buona volontà, fallito il tentativo a tiratura nazionale, il gruppo si sciolse nell’indifferenza, anche per forti dissidi interni che avevano ormai minato la stabilità della band. Nel tempo la loro discografia sarà rimpolpata da compilation, album di inediti o di B-side, out-takes, e cianfrusaglie varie. La sigla Sonics sarà rispolverata dei membri per qualche sporadica reunion nel Nord-Ovest, senza continuità né troppa nostalgia. Interessante il live Busy Body!!! Live in Tacoma 1964, testimonianza di un giovane gruppo di garage, partito dal surf, che sta diventando qualcosa di profondamente diverso.
In un periodo pur agli antipodi musicali del quintetto, i Sonics trovarono subito nei Flamin’ Groovies di San Francisco i degni eredi nel tramandare lo spirito del primordiale rock n’ roll unito ad un assalto elettrico moderno e a una tendenza “rollingstoniana” non indifferente; già nel 1972 sarà compilato il primo disco antologico, su scala nazionale: Explosives (Buckshots), compendio dei primi due album; anche sul mitico Nuggets il gruppo era già comparso con un paio di pezzi; dell’influenza che questa band ha direttamente esercitato sul rock dei quarant’anni seguenti (fino ad oggi) già si è detto. Sul versante discografico non sarà un caso che nel 1977, in piena epoca punk, la First Record pubblicherà il loro Greatest Hits dal titolo Original Northwest Punk; non sarà un caso se nel 2004, in piena riscoperta “garage” alcuni ex militanti grunge, capitanati dal leader dei Mudhoney Mark Arm, daranno alle stampe, sotto il nome di The New Strychnines, un album dal titolo The New Original Sonic Sound, a tutti gli effetti l’omaggio di una cover band ai loro idoli; vi compaiono versioni rivisitate (non molto) di tutti i vecchi classici, in un suono stereofonico e limpido sconosciuto agli originali: i tempi sono appena dilatati, gli assoli sono dinamici e molto metallici ma la passione è inattaccabile. Per quanto poi riguarda il movimento Punk britannico, non sembra il caso di tracciare delle precise linee di discendenza: è però innegabile che l’atteggiamento, il sound e il modo di intendere la musica dei Sonics fossero veramente moderni e nuovi per la metà degli anni ’60.
Sembra un ritornello noioso, ma è raro che un gruppo così apprezzato da altri musicisti sia tanto ignorato dal grande pubblico; una prova ulteriore di quanto a volte poco sappiamo della musica che amiamo ascoltare.
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