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The new world

Creato il 08 settembre 2015 da Jeanjacques
The new world
I film ormai sono diventati una cosa così quotidiana che raramente ci si ferma a pensare alla sottigliezze che li compongono. E duole ammetterlo, l'opportunità di vedere il film che vogliamo quando vogliamo ha un poco aumentato questa 'prosciuttite' sugli occhi, perché se una cosa ottiene una simile capacità di divulgazione finisce anche per perdere la sua importanza. Infatti se per molti i film sono semplicemente delle storie da vedere la sera prima di andar a dormire, credo che per i veri appassionati consistano anche in una riesamina di ciò che si racconta ma, soprattutto, del modo in cui si racconta il tutto. Quando questo film uscì infatti avevo sedici anni e un'idea di cinema abbastanza standardizzata (oddio, non che ora vada molto meglio), avevo modo di vedere o i grandi classici o le ultime uscite da multisala, cosa che purtroppo offre una visione limitata su un qualcosa di così vasto e complesso. Sapevo però che questo film era particolare e che era uscito al cinema, ma non riuscii a vederlo. A smorzarmi l'entusiasmo ci penso un compagno di classe che, una mattina, entrò a scuola dicendo: "Oh raga, non andate a vedere The new world, fa davvero cagare il cazzo." E sinceramente, credo che a sedici anni pure io non avrei saputo apprezzare un film simile, specie se non sapevo chi fosse il Terrence Malick che stava dietro la macchina da presa.

E' il 1607 quando alcune navi inglesi sbarcano sulla coste di quella che è l'attuale Virginia. Durante l'esplorazione della regione, la tribù dei Powathan assale l'equipaggio, catturando il capitano John Smith, al quale però la figlia del capo indigeno, innamorata di lui, salva la vita. Quella principessa era Pochahontas.

Per quanto la loro cultura mi abbia sempre affascinato, non mi sono mai particolarmente informato sugli indiani d'America. Ora che ci penso, quel poco di storie che ho mai letto su di loro sono quasi tutte di matrice fumettistica, cominciando da Tex, fino ad arrivare al manga Red di Kenichi Muraeda e la serie Cheyenne pubblicata su Il Giornalino. Di Pochahontas poi ho visto solo il cartone della Disney, che non mi sembra la fonte storica più affidabile, oltre a un pornazzo intitolato PorcaOnta. Ma se quello che si vuole vedere è un film che ci dipani per bene quelli che sono stati i fatti che ormai sono entrati nella leggenda, forse abbiamo sbagliato film. E infatti, per quanto alla fine questo possa definirsi un film biografico, il regista Terrence Malick cerca di andare a parare da tutt'altra parte, immettendo solo quel poco che basta di storia e portando avanti due ore e mezza di pellicola secondo la sua solita poetica, il suo contemplare attraverso l'occhio della cinepresa lasciando da parte tutto il resto. E' stata questa la cosa che aveva tanto infastidito il mio compagno di classe e che rende a tanti così ostica la visione dei film di questo particolare cineasta. Io, come al solito, mi trovo nel mezzo. Diciamo che molte cose mi affascinano e tante altre non le comprendo, ma mi ostino a fare uno sforzo. Sono anche conscio di come molti teorici del cinema affermino che la storia sia un surplus, che un film deve comunicare emozioni solo attraverso le immagini... ma io non sono un teorico. Sono semplicemente un perditempo che ha una passione e, per quanto gli è concesso dai suoi palesi limiti, prova a immergersi in essa. Tutto questo cercando di non farsi abbagliare da prestigio del nome di turno e tentando di rimanere obiettivo, e forse è proprio per questo che Malick è un regista che, a parte per un titolo, non ho mai sentito troppo nelle mie corde. Forse perché alle volte ho bisogno di essere rassicurato dalla solidità di una trama o da concetti che posso capire, anche se dopo tanti scervellamenti, eppure col nostro Terenzio tutto appare molto difficile. Per il semplice fatto che ha la tendenza a portare tutto fin troppo allo stremo e, la stessa cosa che avrebbe potuto dire in una canonica ora e mezza, qui la dilunga in centocinquanta minuti. Centocinquanta minuti densissimi, pieni di immagini fantastiche - ma comunque, con tutti i mezzi a disposizione non riuscivano a coprirgli il tatuaggione a Colin Farrel? - e atmosfere sospese nel tempo, ma che alla lunga mi hanno fatto chiedere fino a quanto il tutto sarebbe dovuto durare. Eppure qualcosa ci ho trovato, nonostante tutto. Ci ha messo un poco ad arrivare, per un attimo mi ha fatto desistere, ma una volta giunti i titoli di coda ho sentito il peso di qualcosa. E dopo tanto pensare credo di aver realizzato che The new world adotti la storia della principessa indiana per andare poi a parare in tutt'altra direzione, quella che comincia dalla natura incontaminata e che si ferma alle gelide e impostate sale della Londra del Seicento. Da una parte c'è quel mondo libero, selvaggio e in totale simbiosi con la propria natura, dall'altra invece il progresso che, in quanto tale, priva leggermente della propria libertà. Nessun personaggio alla fine è veramente libero, in questo film, perché se gli indiani hanno le loro regole (le stesse che faranno esiliare Pochahontas) i 'civilizzati' occidentali ne hanno altre, che non fanno paura alla principessa, la quale andrà a finire in un mondo nuovo a sua volta. Qual è il mondo nuovo, alla fine? L'America vista dai coloni o la Londra vista da Pochahontas? Nuovo è un concetto relativo che varia in base agli occhi di chi guarda, perché non esiste mai un'unica via per vedere le cose. L'unico spiraglio di beatitudine sembra essere il periodo passato insieme dall'indiana con John Smith, forse perché senza regole e avulso da una precisa collocazione. Perché ognuno, come i coloni inglesi, è alla ricerca delle proprie Indie, ma spesso non ci si rende conto di averci perennemente camminato sopra.

Sicuramente c'è altro che non avrò colto, ma molto è dato anche da un regista sì di talento e innovatore, però spesso estremamente auto-compiaciuto. O forse, semplicemente, è roba che non fa per me.Voto: 

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