Anno: 2012
Distribuzione: Eagle Pictures
Durata: 111’
Genere: Thriller
Nazionalità: USA/Ungheria/Spagna
Regia: James McTeigue
Ecco, diciamo che non si tratta proprio di un film memorabile. Eppure i presupposti c’erano tutti: portare sul grande schermo una storia con Edgar Allan Poe coinvolto in prima persona in un’indagine su un serial killer. Un serial killer che uccide ispirandosi ai suoi racconti per l’esattezza. Bello. Letterariamente dignitoso. Ma tra il dire e il fare… È opportuno procedere per metafore: immaginate di avere fra le mani un gioiello elegantissimo, finissimo, molto prezioso, dal valore incommensurabile, e di abbinarlo (non ci è dato sapere se per scelta o per imposizione di qualcuno) con un paio di zatteroni, gli indimenticabili e leggendari Dr. Scholl’s. Ecco, almeno i Dr. Scholl’s hanno fatto la storia. Questo film non merita un giudizio troppo severo, ma il modello con cui si confronta è troppo alto: Poe, il genio.
John Cusack è bravo, si sa, ma ha troppo la faccia da bravo ragazzo per interpretare quello che fu il riferimento letterario di Baudelaire; ma finché si tratta di John Cusack va bene, si può anche soprassedere (volentieri). E Poe non aveva un pizzetto così curato. James McTeigue, a onor del vero, dona al film un’atmosfera decentemente tenebrosa e torbida, e si intuisce la legittima intenzione di trattare il soggetto letterario classico fondendolo con elementi cinematograficamente innovativi: attualizzare Poe, già di per sé estremamente attuale, se non addirittura futuristico per questi tempi. Ma il risultato è, più o meno, una spigola all’acqua pazza cucinata dai “cuochi” del McDonald’s. Un peccato. Il progetto è realmente ambizioso, ma liquidato grossolanamente. C’è qualcosa che ricorda le trasposizioni di Sherlock Holmes realizzate recentemente da Guy Ritchie (anche queste con qualche difetto, certo), ma laddove Ritchie rinnovava fortemente il modo di trattare la letteratura classica su grande schermo, McTeigue non fa altro che raccontare Poe con lo stile di un videoclip di Mtv. E i difetti sono proprio qui, nella frenesia di un montaggio eccessivamente vorticoso; nella rozzezza di un ritmo eccessivamente concitato. La forza di Poe era proprio quella “lentezza” narrativa che ancora oggi ti fa sprofondare nell’angoscia e ti seppellisce vivo.
In 111 minuti succedono troppe cose, troppi delitti (di orrore inaudito, come si conviene), troppi avvenimenti, narrati come se fossero stati estratti da una lista della spesa. Per questo dovrebbero tutti andare a scuola da Fincher, giusto per citare un maestro del thriller odierno, senza prendere in considerazione modelli inarrivabili del passato. Un peccato, sì. La sensazione provata per tutto il film trova conferma nei titoli di coda, moderni, aggressivi come una pubblicità americana, con il sottofondo, stupendo, degli UNKLE feat. Ian Astbury, Burn my shadow away: anche in questo caso, ci si poteva impegnare di più, sfruttare una musica così bella in modo un po’ più elegante anziché relegarla a sottofondo di qualche “prodezza” da nerd della grafica. Dispiace, perché le intenzioni non erano malvagie, almeno sulla carta. La speranza è che almeno serva ad avvicinare a Poe qualche adolescente impegnato a “truccare” la propria motoretta mentre ripete fra sé le battute dei Soliti idioti. Ma anche no.
Riccardo Cammalleri