Susanna, nickname “redpassion76”, nonostante le apparenze indossate on line, nemmeno beve. Ha avuto solo due uomini, il fidanzatino del liceo, Marco, che ancora sente e al quale vuole un gran bene e suo marito, un ragazzone che gioca a pallone ogni mercoledì e che al massimo della trasgressione le sussurra qualche parola sconcia –nel buio però, altrimenti lo vedrebbe arrossire.
Quello dall’altra parte del monitor non fa che immaginarlo. È maturo, intellettuale, idee trasgressive, musica da “scortico” fino all’urlo finale. Legge tanto e posta articoli bipartisan. I giudizi sono sempre pacati, i suoi interessi sanno di terra e corteccia d’albero: colleziona pipe e scatole di latta. È sposato, almeno così dice, e lì su twitter ci ha messo la faccia, angolosa, maschile, ruvida. La pelle è olivastra, le mani sembrano grandi, la voce sarà stupenda, pensa, si racconta.
Era stata lei a iniziare. Lei che nella noia dei pomeriggi immobili, con i bambini fuori per le attività sportive e il cane, Bobo, addormentato nelle quiete autunnale, aveva iniziato a scrivere una lunga serie di centoquaranta caratteri di sospiri, di “dove sei” che significavano “chiunque tu sia”, di “non lasciarmi mai” che volevano dire “prendimi sono tua”. Era lei che tra una mondata di aglio e prezzemolo e una replica di “sex & the city”, postava maliziosi ritratti di donnine seminude e di maschili braccia muscolose. Lei che aveva risposto al primo DM, un cauto “chi sei”, con un rischioso “sono come tu mi vuoi”, e l’aveva cantata anche sotto la doccia, al mattino appena sveglia con la speranza di trovarlo in line. E lui c’era. Perché l’uomo quando vuole c’è sempre.
Andare o non andare? In fondo a tutta quell’abitudine ordinata e ordinaria regnava il caos, e Susanna lo sospettava da mesi. Quell’emozione che le sfiorava le labbra anche adesso, mentre mano nella mano con suo marito, sul divano, ascoltava il respiro dei piccoli attraverso l’interfono, non poteva essere rimossa. Una scusa qualunque e un paio d’ore in albergo. Un’uscita in un giorno in cui lui avrebbe avuto riunione fino a tardi: una doccia bollente e il gioco è fatto.
Susanna calcola tempi e modi, ripassa mentalmente l’agenda dei bambini e decide per la baby sitter per il più piccolo. Una scusa qualunque, sì, certo. L’amica Marta in preda a una crisi di panico, Giovanna e l’imminente divorzio, Patrizia e l’abito da sposa. Due ore di fuga pomeridiana si possono giustificare in ogni modo, pensa Susanna, mentre con movimenti circolari si passa il latte detergente e poi la crema, mentre fa colare l’olio di cocco sulle gambe nel caldo del bagno della camera matrimoniale.
E si avvolge tra le coperte appena distante dal corpo di lui: casomai sentisse il suo desiderio, la voglia di mani diverse, di saliva e odore nuovo, di quel legno e di quella ruvidezza di cui ha voglia da mesi e che, calcolati in ore, sono davvero tanti. Guarda nel buio al di là dell’altare e del giorno delle nozze, dei sogni di sempre tutti realizzati, della casa in centro, del parquet inchiodato, al di là dell’intonaco giusto, oltre l’arredamento che non è stato mai solo una buona occasione.
È proprio un tarlo quel tizio dalle mani robuste. Una musica che le gira in testa da settimane, che l’accompagna al supermercato mentre spera d’incontrarlo nel reparto della frutta e sfiorarlo per caso. È una voglia che non ha nome né un vero perché. Un modo come un altro per mettersi alla prova altrove, per essere “RedPassion” una volta sola e poi cancellare l’account, per mostrare a se stessa che quella vita piana e tutta uguale è stata comunque la scelta la migliore.
Andare o non andare? E si rosicchia il pollice mentre lui le versa il caffè e le accarezza l’ovale perfetto, mentre le strizza l’occhio dopo un “ti amo” che fosse stato un “ti chiamo” o un “ci siamo” sarebbe stato lo stesso. Le tremano le mani mentre gli aggiusta il nodo della cravatta, anche quello un appuntamento di rito, anche quella una naturale scaramanzia matrimoniale, quella che ribadisce che tutto va bene e che siamo ancora qui, io e te, mano nella mano.