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The rover

Creato il 08 ottobre 2015 da Jeanjacques
The rover
Ultimamente sto perseverando per mettermi in pari con tutte le produzioni recenti che negli ultimi tempi ho involontariamente saltato, quindi qualche sera fa ho deciso di avventurarmi alla visione di questo film australiano che sembrava essere stato visto da tutti tranne che da me - e del quale la simpatica Collezionista mi ha parlato al Salto2015 quando ci siamo incontrati. La cosa poi mi ha anche confermato quanto ultimamente ho avuto poco tempo per informarmi in merito al cinema, perché non sapevo neppure che fosse stato doppiato. Fra l'altro poi è bastato vedere la locandina per ricordarmi che c'è il Robertino internazionale e per riportarmi alla mente che su di me aleggia ancora una maldicenza che mi vuole molto somigliante a lui. Maldicenza confermata non solo dalla solita ghenga che frequento - dove quindi avrei potuto pensare a una sana presa per i fondelli - ma anche da gente fuori regione. E quando a una presentazione dei Nativi Digitali uno ha fatto "Mi ispira il libro di quello che somiglia a Pattinson", ho capito che ero vicino a raggiungere il fondo. Ma il fondo credo di averlo raggiunto l'altro giorno quando mia nonna, girando canali a caso e imbattendosi nell'ennesima riproposizione di MTV de El mismo sol, mi ha detto che somiglio ad Alvaro Soler perché ha la barba come me...

Siamo in un non specificato futuro, dove il mondo sembra essere in preda a una recessione senza precedenti. Qui incontriamo Eric, un uomo che è diventato l'ombra di se stesso, il rover (vagabondo) del titolo. Un giorno dei malviventi in fuga da un colpo finito male gli rubano l'auto, l'unica cosa che possiede. Quando però ha modo di incontrare il fratello ritardato di uno della gang, rimasto indietro perchè creduto morto, partirà alla ricerca dei gaglioffi...

Ammetto la mia ignoranza, perché io l'Australia la conosco solo per gli splendidi paesaggi (perfettamente riproposti in Wolf Creek) e i canguri. Oltre al fatto che molti miei conoscenti sono andati a lavorare lì, ma questa è un'altra storia. Proprio per questo, essendo ancora abbastanza fresco dalla visione di Interceptor, non capisco che diamine abbiano gli australiani con i film post apocalittici, anche se mettere questo film in quel filone è abbastanza riduttivo. Sarebbe come dire che La strada di Cormac McCarthy è una roba a là Ken il guerriero. Sempre di ambientazione post-apocalittica sono, ma l'uso che se ne fa è molto diverso, e dipende dalla quantità adoperata. In uno vuole favorire fascinazioni visive e uno svolgimento particolare della trama dettato dall'azione, nel nostro caso invece è messa in un angolo ed è solo un pretesto per raccontare una storia di perdita e di rivalsa personale. Come dico sempre, il genere deve essere un contorno rispetto a quello che si vuole raccontare, non un fine. Ed è così che ci mettiamo a seguire Eric, un Guy Pearce che dai tempi di Memento sembra aver fatto una cura di bistecche e proteine, attraverso queste lande desolate e illuminate da un sole desertico. The rover è un film dove si parla poco e si agisce in altrettanta maniera, ha ritmi molto lenti e quindi sento il dovere di sconsigliarlo a coloro che patiscono un ritmo che non sia abbastanza coinvolgente. Qui non si cerca di coinvolgere il pubblico, si vuole mostrare un'umanità desolante e affrontare in una maniera abbastanza originale il senso del tormento e del dovere, attraverso questa strana coppia che, per un motivo o per l'altro, ha molto interesse di portare a termine quel viaggio. E qui devo sprecare un paio di paroline sul mio presunto sosia, che lasciati da tempo ormai i panni del vampiro brillantinato sta cercando di imbattersi in una prova più diversificata dell'altra (pensiamo a Cosmopolis o Bel Ami), dando qui l'ennesima dimostrazione della sua voglia di variare con un personaggio abbastanza sgradevole e grottesco, di contorno, ma che riesce a raggiungere una sua dignità nelle ultime e intense scene finali. Per me lui resta il classico attore che o ha un regista coi contrococomeri alle spalle a dargli le giuste indicazioni, col rischio di riuscire veramente a distinguersi, oppure rientra nel classico anonimato. David Michod è un regista che sicuramente ha molte idee ma non tutte le capacità per esprimerle, e in questo film la cosa si capisce appieno. Le immagini in certi punti sono davvero belle, ma è più per la bellezza naturale dei paesaggi che per la capacità dell'uomo dietro alla macchina da presa di valorizzarli, così come alcune sequenze, che sono agevolate più da una potenza di scrittura che di messa in scena. Volendo spararla grossa, si potrebbe dire che questo è un 'film bellissimo ma non troppo', perché i difetti finiscono per pesare più dei pregi e in alcuni punti rischia di diventare addirittura poco interessante. E sottolineo, non perché lento, ma proprio perché certe sequenze e scelte narrative coinvolgono davvero poco - per fortuna però sono momenti che si contano sulle dita di mezza mano e dalla durata misera. Rimane una sequenza finale però che da sola vale tutta la visione, il monologo muto di un uomo che ha perso tutto e che, in quel personale attimo, sembra voler seppellire la propria anima con un ultimo gesto. D'altronde l'umanità mostrata in questo film è davvero desolante ma, cosa più importante di tutte, nessuno viene giudicato. E' il mondo, casomai, quello su cui viene puntato il dito. Il che è come se si giudicasse colpevoli tutti - quindi, al contempo, nessuno.

L'outback ha sempre il suo fascino, così come le storie di uomini violenti in un mondo dominato dalla violenza. Due fattori che sembrano essere le basi per le storie che mi piacciono.Voto: 

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