Magazine Cultura
Cold Rock è una piccolissima cittadina di provincia situata a pochi chilometri da Seattle. Qui regnano la povertà e la disoccupazione più nere, da quando la miniera è stata chiusa, molti anni prima. Ma Cold Rock è anche il teatro di segreti inquietanti. Nel giro di alcuni anni sono scomparsi già 18 bambini, e l'ombra di uno spietato serial killer grava sulla dimessa vita quotidiana di ogni famiglia. Vani sono gli sforzi della polizia locale, e in particolare del luogotenente Dodd, di andare a capo di tutta questa tragica situazione. Una leggenda metropolitana locale, incolpa di queste sparizioni il misterioso "Tall Man", l'"Uomo Alto", un criminale malvagio e sfuggente che rapisce i bambini senza lasciare la minima traccia. Julia Denning, giovane madre e infermiera che vive da anni a Cold Rock, non crede a queste superstizioni, ma quando una notte scopre che il letto di suo figlio David è vuoto e che la baby-sitter è stata imbavagliata, legata, e nascosta in uno sgabuzzino, comincia la disperata ricerca di David, all'interno dei fitti boschi che circondano la casa...
Il cinema di Pascal Laugier è struttura, non contenuto. E' lavoro di pensiero, attento, maniacale, e sul soggetto, e sulla sceneggiatura. E' costruzione non lineare di un racconto che muta di sequenza in sequenza, obbligando lo spettatore a cambiare continuamente l'ottica attraverso cui sta guardando un suo film. A Laugier non interessa - ormai è chiaro come il sole - l'effetto perturbante sul pubblico. "Martyrs" (2008), e lo si capisce molto meglio alla luce di "The Tall Man", piega l'effetto drammatico e violentissimo, all'inquadramento strutturale di una storia, che è "quella" storia che Laugier vuole raccontare. "Martyrs" non è un film violento e inquietante perchè Laugier desidera colpire lo spettatore con un pugno nello stomaco gratuitamente. Solo adesso lo capiamo bene. Il pugno allo stomaco è l'ultima cosa che interessa al regista francese, a dispetto dell'effetto emotivo "reale" che fa su chi guarda: è - tutto al contrario - lo svolgimento narrativo ad interessargli, o, meglio, l'avvitamento narrativo straniante che il mezzo cinematografico e l'uso della macchina riescono a produrre nelle sue mani di artigiano ossessivo. Il suo ultimo "The Tall Man" è un esempio mirabile di tale atteggiamento estetico-filmico, che mette in casseruola, parecchi ingredienti narrativi, per poi farli svaporare nel nulla, proprio perché Laugier non guarda a "temi" specifici, a "contenuti", bensì allo svolgimento a salti, a permutazioni, a "scatole cinesi" del racconto. Nei primi 25 minuti di pellicola noi vediamo una storia, quella di Julia Denning (una Jessica Biel a mio avviso meravigliosamente bella, e scelta magistrale di casting da parte del regista), che al 30esimo minuto diventa un'altra storia, attraverso un passaggio virato completamente sul puro onirico, dalla lunga, enigmatica sequenza dell'inseguimento nel bosco. Qui Laugier sa creare un ambiente che possiamo definire "sognante" in senso stretto, perchè è capace di generare un'atmosfera di attraversamento narrativo che scioglie in pochissimo minuti le certezze che aveva fatto acquisire illusoriamente allo spettatore poco prima. Ci troviamo con Julia a vagare nel bosco, ad incespicare nel fango, a non capire. Dal 30esimo minuto in poi la storia continua a virare lentamente, ma inesorabilmente, in modo labirintico, così come avevamo visto in "Martyrs", ma rispetto a "Martyrs" l'onirico serpeggia fino all'ultima sequenza, e, nelle inquadrature intense dell'interrogatorio condotto dal luogotenente Dodd, ci vengono in mente alcune associazioni con Lynch. Tutto è però più freddo e calcolato di un film di Lynch. Quella che Laugier utilizza è una modalità onirica di condurre il gioco, che è per lui è una "storia vera" da raccontare, senza alcun ammiccamento al noto surrealismo lynchiano. D'altra parte è proprio così che funziona l'attività onirica umana: l'elemento più importante di un sogno non sono i suoi contenuti narrativi, bensì l'evidenziarsi dell'attività di un sognatore, di un artista che dentro di noi dipinge affreschi onirici, mentre noi dormiamo, e a nostra insaputa, sebbene quel "pittore" siamo poi sempre noi stessi. E' questa presenza "artistica" inattingibile, a rappresentare l'elemento più interessante ed enigmatico di un sogno, e a questo enigma universale Laugier sembra fare costante riferimento in "The Tall Man". A quale codice ascrivere, ad esempio, il notevole dialogo tra Julia e Mrs. Johnson, se non al linguaggio onirico? La fotografia, eccellente, di Kemal Derkaoui, le musiche struggenti di Todd Bryanton, e soprattutto il montaggio vellutato del grande Sébastian Prangère, aiutano oltremodo alla creazione di atmosfere sensorialmente molto intense. Detto questo, credo che "The Tall Man" possa aver comunque deluso le aspettative di molti suoi cosiddetti fan, che forse pretendevano da lui un pathos come quello presente nel film precedente. Ma di "Martyrs" se ne può fare solo uno, e dopo "Saint Ange" (2004), "Martyrs" e "The Tall Man", adesso capiamo molto meglio la poetica del regista, che potremmo appunto definire una poetica struttural-funzionalistica della sceneggiatura. L'occhio di Laugier sembra guardare più alla letteratura che al cinema: ricorda molto lo scrittore spagnolo Xavier Marias, ad esempio, quelle sue pagine che sembrano pure associazioni libere che si fanno e si disfanno di riga in riga, di capitolo in capitolo, e che si aprono così verso l'ignoto creandolo e destrutturandolo al contempo. Non è probabilmente un caso che Laugier fosse partito dallo studio di un racconto di China Mieville, "Details", che poi aveva abbandonato per dirigersi su questa strana storia che di horror ha davvero ben poco. Ma adesso veniamo giustappunto ai problemi di "The Tall Man", poichè di problemi ce ne sono. Il primo problema consiste nel fatto che Laugier azzera completamente la dimensione dell'intrattenimento, e il film risulta alla fin fine molto "freddo", nonostante sia totalmente dominato dal e centrato sul tema del dolore della perdita, la perdita peggiore, quella di un figlio. Ma se l'attenzione essenziale del regista è la struttura linguistica, allora lo spettatore non crede più alla partecipazione emotiva dei personaggi: le lacrime di Julia, la voce roca di Dodd, gli occhi tristi dei bambini rapiti, non emozionano più, perché non sono lì per emozionare, per intrattenere. Sono solo personaggi-funzione della struttura dello script. In questo modo, man mano che la pellicola procede nel suo lungo minutaggio, l'investimento partecipativo dello spettatore decade, o permane solo in funzione della curiosità che lo muove, curiosità che viene drasticamente frustrata al termine del film. Il secondo problema è il ricorso, in stile "Martyrs", al tema cospiratorio di gruppo, adombrato nel prefinale e sviluppato nel finale, rimando di cui non si sentiva affatto la necessità, dal momento che genera un legame poco comprensibile e ridondante con "Martyrs", laddove è evidentissimo che si tratta di due film molto diversi e lontani. "Martyrs" è poi un film molto più "caldo", nel quale il tema del dolore, fisico e psichico, e i sottotesti sociologico-filosofici sono molto più pregnanti, e nel quale emozione e struttura tendono ad integrarsi saldamente, cosa che non avviene per niente in "The Tall Man". In sintesi, la poetica cinematografica di Laugier, con quest'ultima sua pellicola, sembra spostarsi sempre più verso uno strutturalismo visivo-onirico, che raffredda tuttavia la performance complessiva e il pathos emotivo dell'opera. "The Tall Man" resta in ogni caso, un film ottimamente girato, nonché costruito con grande ponderazione analitica dal regista, la cui mano è magistrale nello studio preliminare e nell'elaborazione successiva della sceneggiatura. Di tale maestria occorre senza dubbio, a mio avviso, dargli atto, poiché muove pensieri e associazioni relative alle dimensioni creative e sognanti della nostra mente. Il film è quindi certamente da vedere. Regia: Pascal Laugier Soggetto e Sceneggiatura: Pascal Laugier Fotografia: Kamal Derkaoui Montaggio: dSébastian Prangère Musiche: Todd Bryanton Cast: Jessica Biel, Jodelle Ferland, Stephen McHattie, William B. Davis, Samantha Ferris, Katherine Ramdeen Nazione: Canada, USA Produzione: Cold Rock Productions BC, Forecast Pictures, Iron Ocean Films Durata: 106 min.
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