Magazine Cinema
Attorno, il cosmo: nascita, morte, amore e divinità concentrati in immagini che vorrebbero essere interpreti di un viaggio attraverso sentimenti e Storia unico ed irripetibile.
Peccato che questo trip sia stato compiuto già più di quarant'anni fa da un signore chiamato Stanley Kubrick: che, non me ne voglia Malick, è assolutamente inimitabile.
Non pensavo davvero che sarebbe venuto questo momento.
Onestamente, speravo non accadesse proprio.
Invece, eccomi qui, a scrivere una cosa che fino all'uscita dalla sala non avrei creduto possibile: Malick questa volta ha toppato.
E proprio alla grande.
Lo ha fatto, forse, facendosi prendere troppo la mano senza misurarsi, trasformando quella che fino a The new world era stata la sua poetica, la sua forza in una sorta di delirio allucinogeno incontrollato che - ed è un dolore anche solo essere sfiorato da un pensiero come questo - non ha fatto altro che riportarmi alla mente The fountain, quasi come se Aronofsky, rinato con The wrestler e Black swan, avesse passato tutta la sua aronofskite passata - detta anche volgarmente pippaggine intellettualoide - al povero Terrence, travolto dalle sue consuete - splendide - carrellate di immagini e da una lezione pseudo mistica che sconfina nel terribilmente kitsch in più di un'occasione, in bilico tra il National Geographic e i Cristiani Redenti.
La scrittura, punto di forza di Capolavori come La sottile linea rossa, appare confusa e spezzettata, e le scelte visive, per quanto affascinanti, più che l'ermetica poesia de I giorni del cielo assumono i connotati di un delirante viaggio interiore poco compreso dall'autore stesso, che vorrebbe affascinare ma finisce per annoiare se non, addirittura, risultare involontariamente ridicolo - ho impressa a fuoco nella mente la sequenza con i dinosauri, inqualificabile -, o che, come la quasi totalità della parte dedicata al presente di narrazione interpretata da Sean Penn, risultano assolutamente fuori contesto rispetto al solido e sentito blocco centrale legato alla formazione dei figli degli O'Brien, vera e propria ancora di salvezza per un'opera altrimenti indigesta e clamorosamente sbagliata.
Dal massacro di questo scellerato scivolone di Malick esce indenne - anzi, rafforzato in credibilità - Brad Pitt, che fornisce una solidissima interpretazione ed è valorizzato da un personaggio scritto e definito alla perfezione, probabilmente pregno di molti riferimenti autobiografici del regista - che negli stessi anni delle vicende del giovane Jack è cresciuto, e che in ogni suo lavoro ha affrontato di riflesso sottolineando a più riprese l'importanza delle figure genitoriali nel percorso di crescita personale di ognuno di noi.
Inoltre, la fotografia dei rapporti in casa O'Brien appare asciutta e diretta, segno di quanto avrebbe potuto dare quest'opera al pubblico se il suo autore fosse rimasto fedele alla fisica, più che alla metafisica di stampo religioso che pervade - o meglio, invade - il grosso del minutaggio della stessa.
I voli pindarici legati all'evoluzione della vita - nel microscopico come nel macroscopico - e su quello che potrebbe attenderci oltre non solo appesantiscono inutilmente la visione, ma perdono clamorosamente il confronto con due pellicole cui questo The tree of life pare essere profondamente legato: la prima - e la parte conclusiva è più che indicativa, in questo senso - è Hereafter, straordinario e troppo sottovalutato ultimo lavoro eastwoodiano, cui Malick fa riferimento per la sua parte paradossalmente meno convincente - quella della visualizzazione dell'aldilà, per l'appunto - finendo per prendere una posizione opposta a quella del granitico Clint. Se, infatti, il nostro vecchio pistolero afferma, attraverso la delicatezza del suo lavoro, che è sempre preferibile pensare a quello che abbiamo da questa parte, che non cercare di capire cosa avremo dall'altra, il bucolico Terrence si butta a capofitto nell'interpretazione dell'ignoto, uscendo, più che ridimensionato, pesantemente bastonato dal confronto.
La seconda, invece, è 2001.
Già nel succitato The new world il cineasta dell'Illinois ci aveva provato, realizzando peraltro un finale da capogiro, potentissimo ed intenso.
Ma, senza usare troppi giri di parole, non si scherza con 2001.
In nessun modo, in nessun mondo, in tutti i luoghi e in tutti i laghi.
E soprattutto, non è umanamente possibile pensare di poter sostituire quello che, a tutti gli effetti, è da considerarsi IL film per eccellenza.
A poco servono le eclissi, lo spazio siderale che si confonde con il concepimento, i colori e le meraviglie di Terra e Cosmo. E tantomeno i dinosauri digitali.
A Kubrick sono bastati qualche scimmia e un osso per ridefinire il percorso storico dell'Umanità.
E ai piedi del monolito non c'è spazio per le imitazioni.
Soprattutto se scialbe.
MrFord
"Got this dance that's more than real
drink Brass Monkey - here's how you feel
put your left leg down - your right leg up
tilt your head back - let's finish the cup."
Beastie boys - "Brass monkey" -
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