Per chi, come me, è abituato a una visione fredda e professionale dell’opera cinematografica, per quanto possibile scevra da coinvolgimenti emotivi, cui ci si può eventualmente abbandonare quando si gusta un film per puro piacere personale e non per esprimere su di esso un giudizio critico, la visione di “The Tree of Life” è stata sconvolgente.
Conoscendo e apprezzando la filmografia di Malik ero pronto alla visione di un film di alto livello ma non avrei mai immaginato di rimanerne coinvolto a tal punto da provare emozioni così intense e incontrollabili quali neanche il cinema di Dreyer, di Bergman o di Tarkovsky avevano mai saputo darmi. Un turbamento mentale, spirituale e fisico che ha accompagnato la visione dell’intera pellicola e che ho faticato a scrollarmi di dosso in modo da poter finalmente tentare di razionalizzare ciò che avevo visto.
Mi è difficile parlare di questo film, come non lo è mai stato e, prima di farlo serenamente, credo che dovrò rivederlo più di una volta e in uno stato d’animo più rilassato.
E’ evidente che un film come questo sia destinato a dividere nettamente. Per alcuni, me compreso, è un capolavoro, per altri un’opera che al massimo può essere considerata un esercizio d’alta scuola, un’opera estetizzante e priva di una visione poetica originale. Chi poi lo considera addirittura brutto e banale o una sorta di documentario naturalistico, credo abbia visto un altro film e un tale giudizio, oltre che ingeneroso, mi pare del tutto ingiustificato.
Certo, bisogna ammetterlo, è un film difficile, per palati estremamente raffinati e sensibili a una visione che solo in apparenza può sembrare vecchia e banale e che invece l’autore rivitalizza, calandosi nel profondo e riproponendocela, come direbbe Ungaretti, “Scavata nella vita come un abisso“.
Un abisso spazio-temporale dal quale emerge una visione escatologica nella quale l’uomo acquista piena consapevolezza della sua natura, delle sue origini e del suo destino, in un universo nel quale si pone in posizione centrale, come l’unico essere dotato di autocoscienza e di libero arbitrio, ma pur sempre parte di un disegno universale nel quale ogni altro essere, anche il più apparentemente insignificante, e ogni altra cosa sono illuminati dalla stessa bellezza e condividono una scintilla di quel fuoco divino che è la causa e il fine di tutto.
Dal caos originario, attraverso una storia qualunque, arriviamo alla bellissima, struggente sequenza finale, ove tutto si riordina, si ricompone e trova la sua giustificazione ultima. I più attenti avranno certamente trovato un’analogia col finale di “Places in the Heart” di Robert Benton…ma siamo a un altro livello.
“The Tree of Life” è una chiave d’oro, di cui tutti potranno ammirare lo splendore, ma solo chi avrà la capacità di usarla per aprire la porta di fronte alla quale Malick ci pone, per guardare al di là di ogni apparenza e osservare con uno sguardo vergine ciò che ci appare scontato o, viceversa, incomprensibile, si renderà conto di aver visto un’opera d’arte altissima, tra le più grandi della storia del cinema. http://www.youtube.com/watch?v=BsGS8_f0H6Y
Federico Bernardini
Illustrazione: “L’Albero della Vita” (Gustav Klimt), fonte http://it.wikipedia.org/wiki/File:Gustav_Klimt_032.jpg