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The Truman Show: il fascino dei reality

Creato il 18 luglio 2015 da Retrò Online Magazine @retr_online

Dal genio australiano di Peter Weir, nel 1998 prende vita sugli schermi di tutto il mondo un capolavoro del cinema anni '90, un grande classico moderno che tutti dovrebbero vedere almeno una volta nella vita: The Truman Show.

Il film riprende il tema dell'ossessione della nostra società per il genere televisivo del reality show, raccontando la storia di Truman Burbank, un inetto dei giorni nostri interpretato da Jim Carrey, costretto a sua insaputa a vivere la sua vita all'interno di un vero e proprio programma televisivo seguito da milioni di persone, dove tutto (o quasi) è programmato e perfino gli affetti più cari sono a conoscenza della farsa.
L'ideatore del Truman Show è Christof, un produttore brillante e senza scrupoli che ha seguito il protagonista dalla nascita, avvenuta anch'essa in diretta televisiva. Il bambino, essendo frutto di una gravidanza indesiderata, era stato prelevato e affidato ad una famiglia tradizionale composta da due genitori adottivi più uno staff televisivo, dando inizio all'esperimento.
La vita di Truman si svolge in maniera monotona e piatta, anche se apparentemente sembrerebbe non mancargli nulla: ha una moglie perfetta che sembra non a caso uscita da una pubblicità anni '50, una bella casa, un lavoro stabile come assicuratore ed è ben voluto da tutti, vicini compresi.
Tuttavia l'uomo, che fin da piccolo ha sempre desiderato viaggiare ed esplorare il mondo, non si è mai spinto oltre i confini di Seahaven, l'isolotto su cui vive e che rappresenta la "prigione" del set televisivo di cui ignora di essere la star.
Per impedire che Truman potesse cedere al desiderio di andarsene, Christof ha messo in scena, nel corso dello show, una serie di avvenimenti volti a scoraggiarlo: la finta morte del padre in barca durante una tempesta, da cui ha ereditato la paura del mare, l'agenzia viaggi peggiore della storia che appende alle pareti poster di disastri aerei e non trova mai voli disponibili, il traffico pari a quello di ferragosto sulla Salerno-Reggio Calabria ogni qualvolta che decide di partire.
Lo show funziona, tanto che viene seguito assiduamente da una platea di fan deliranti in ogni paese del mondo, finanziandosi grazie agli sponsor, in quanto ogni prodotto presente vicino a Truman viene più o meno implicitamente pubblicizzato.

Mano a mano che lo spettacolo va avanti, però, Truman inizia ad accorgersi che qualcosa non quadra, si ricorda di un amore ai tempi del liceo con una ragazza il cui ruolo nello show doveva essere solamente una "comparsa", ma che quando si era decisa a rivelargli tutto è stata trascinata via dal padre che l'ha definita "schizofrenica".
In seguito, una serie di errori di sceneggiatura insinuano nel protagonista diversi dubbi: l'incontro casuale con l'attore che in passato aveva svolto il ruolo del padre mancato, che però viene subito fatto sparire prima che potesse parlarci, la moglie Maryl che continua a promuovere con un sorriso a trentadue denti la cioccolata calda che utilizza, anche durante una discussione, la sensazione che la routine sia estremamente ripetitiva, come se fosse programmata da qualcuno.
Tutti questi avvenimenti portano infine Truman a convincersi che sia tutto falso, fino alla decisione di lasciare Seahaven proprio affrontando la sua più grande paura: il mare.
Sul finale, Christof e il suo staff cercano di impedirgli la fuga attraverso il tasto "controllo climatico" provocando tempeste degne di Pirati dei Caraibi, ma nonostante ciò Truman è irremovibile, perde momentaneamente i sensi ma resta sulla barca, così che anche il perfido burattinaio è costretto a lasciarlo andare, tentando un'ultima azzardata mossa: rivelare tutto a Truman presentandosi come il suo salvatore, anzi, direttamente come il Salvatore.
Christof prova a dissuaderlo con un discorso strappalacrime, assicurandogli una protezione semi-divina, ma Truman recita per l'ultima volta il suo saluto quotidiano: "Buongiorno...e casomai non vi rivedessi, buon pomeriggio, buonasera e buonanotte!" e sparisce dietro la porta.
Non è la prima volta che il mondo del cinema affronta il tema del reality show, basti pensare a Nineteen Eighty-Four e al suo Grande Fratello che, però, rifacendosi all'omonimo romanzo di Orwell, aveva utilizzato un approccio molto più drammatico e politicante, soffermandosi sulla soppressione della libertà e distinguendo nettamente il "bene" dal "male" e i "buoni" dai "cattivi".
The Truman Show, invece, si lascia alle spalle le analogie con regimi totalitari e storie di guerra, per inserire la vicenda in un contesto decisamente più vicino al nostro quotidiano, seppur non rinunciando a trasmettere lo stesso messaggio di controllo e privazione della libertà individuale.
Apparentemente sono tutti liberi di condurre la propria vita come meglio credono, ma di fatto nessuno lo è veramente: non solo Truman, ma anche i telespettatori dello show che non riescono a staccarsi dallo schermo nemmeno a lavoro o per andare in bagno, gli attori stessi, che vivono anch'essi fingendo in funzione dello spettacolo e i membri dello staff di Christof, perennemente ancorati alle sue direttive.

Sfruttando l'onda degli anni d'oro dei reality show, The Truman Show ha mostrato in modo divertente e a tratti inquietante come un pubblico possa essere schiavo della televisione e soprattutto ossessionato dalla vita degli altrui e come lo star system sia interdipendente dal mercato, arrivando a scavalcare i limiti dell'etica e della morale.
Un film che finalmente è riuscito a far recepire una visione del "controllo" che incolpa ognuno di noi, in quanto nella società moderna siamo spesso noi stessi i primi a privarci volontariamente della libertà.

Truman Show: fascino reality

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