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The wild hunt

Da Mcnab75
The wild hunt

The wild hunt

di Alexandre Franchi

Canada 2009

 

Erik e Bjorn Magnusson sono due fratelli canadesi di discendenza islandese. Il primo, più giovane, si prende cura del padre alcolizzato e malato. Il secondo, Bjorn, passa gran parte del suo tempo dedicandosi ai giochi di ruolo dal vivo, in cui interpreta un guerriero vichingo consacrato al Dio Thor.

Quando la ragazza di Erik, la bella e capricciosa Lyn, lo abbandonerà per unirsi a sua volta a un altro gruppo di role players, al giovane Magnusson non rimarrà altro che entrare a sua volta nel gioco per risolvere la faccenda una volta per tutte.

 

Il team di cui fanno parte sia gli amici di Lyn che Bjorn è numeroso e organizzatissimo. Le loro partite si svolgono in una sorta di villaggio medioevale ricostruito nei boschi canadesi, dove il tempo sembra essersi fermato, e dove è impossibile entrare se non si rispettano le regole del “decoro”. Regole che qualcuno sembra prendere fin troppo sul serio...

 

 

Commento


The wild hunt

 

Questo è il secondo film made in Canada che mi colpisce positivamente nel giro di pochi giorni. Ottima cosa.

The wild hunt è una pellicola molto interessante, ben girata e ben interpretata. Il suo difetto, se tale può essere considerato, è che si intuisce già dopo poche battute come andranno a finire le cose presentate nella prima parte del film. Tuttavia la caratterizzazione dei personaggi, unita all'ottima ricostruzione di un credibile gioco di ruolo dal vivo, rendono molto godibile l'insieme. Il risultato? Forse il miglior film in tema GDR mai realizzato finora.

 

Il regista si concentra soprattutto sulle meccaniche che inducono degli adulti dai 18 ai 50 anni a travestirsi da celti, da vichinghi o da guerrieri medioevali, a vivere per tre o quattro giorni in tende o capanne, nei freddi boschi del Canada (o di qualunque parte del mondo), per poi darsele di santa ragione con spade e asce di gommapiuma.

E ancora: The wild hunt affronta con piglio non palesemente ostile il problema che, di tanto in tanto, riguarda alcuni giocatori di ruolo, ossia l'eccessiva immedesimazione. Ma su questo torneremo dopo.

Come dicevo, il pregio del regista è quello di prendere con le pinze la spinosa questione. Sarebbe stato troppo semplice, nonché molto stupido, girare il solito filmetto in cui si mettono in correlazione i giochi di ruolo col satanismo, con la violenza e con l'alienazione mentale. Solo quest'ultimo fattore, in realtà, è un elemento che il bravo Alexandre Franchi prende come cardine della sua opera, cercando però di non banalizzarne gli aspetti. Ci riesce? In buona parte sì.

Dico “in buona parte” perché non è affatto facile entrare nella mentalità di un giocatore di ruolo patologico. La tentazione di dipingerli tutti come nerd è troppo forte ma, per fortuna, in The wild hunt scampiamo anche questo pericolo.

 

Qualcuno penserà che questo è solo un thriller basato su una delle tante, probabilmente una delle meno diffuse, mode ritenute “pericolose” dalla gente comune. In realtà, per come l'ho visto io, il film di Franchi è parla soprattutto di fughe.

Bjorn Magnusson è un ragazzone (avrà... mah, 35 anni?) che vive nella sua personale mitopeica, ripescata dalle leggende e dalle tradizioni della famiglia d'origine, trasferitasi dall'Islanda al Canada. Notate bene: Bjorn l'Islanda non l'ha nemmeno mai vista. Eppure gli piace giocare al guerriero vichingo, al prediletto di Thor. È evidente fin da subito che la sua immedesimazione è totale, e non solo correlata alle sessioni di gioco. Il motivo che lo spinge a tale comportamento è identificabile, appunto, sulla fuga. Fuga dal padre malato, che non ha la forza e il coraggio di curare, lasciando quindi il compito a suo fratello minore, più responsabile e maturo.

Lo “sciamano Murtagh”, di cui non sappiamo nemmeno il vero nome, nella vita reale è una persona anonima e mediocre. Ma questo lo scopriremo quasi alla fine del film. Quando invece indossa il mantello e le pitture facciali da leader spirituale dei celti, Murtagh è un individuo carismatico, amato, rispettato. Perfino dai “nemici”. Quindi nel suo caso possiamo parlare di fuga dall'anonimato.

Anche Lyn (una convincente Tiio Horn) fa dell'ambiguità e della debolezza i caratteri principali della sua personalità. La ragazza di Erik non è pronta a una convivenza con lui, né ad adeguarsi alle convenzioni sociali: lavoro, magari il matrimonio, figli, bollette da pagare. Un po' la si può capire, anche se, alla fin fine, sarà per colpa sua che i role players di The wild hunt perderanno ogni controllo, giungendo poi al tragico finale.

 

Perché vestirsi da vichingo nel 2011


The wild hunt

 

Questo è l'interrogativo che sorge nel film: cosa spinge delle persone adulte a fingere – con molto realismo – di vivere nel medioevo? Ma lo scenario potrebbe anche essere un altro: basta sostituire “medioevo” con Star Wars, Star Trek, o con una delle tante ambientazioni che caratterizzano il mondo poco conosciuto dei giochi di ruolo dal vivo.

Per la fuga, dunque? Fuga dalle responsabilità, fuga dalla vita reale, fuga dal brutto che abbiamo intorno.

Nei casi più estremi la risposta pare proprio essere questa. Una scena nel film è emblematica: Murtagh, vistosi sull'orlo della sconfitta durante la sessione di gioco più importante dell'anno, perde il senso delle proporzioni e decide di punto in bianco che vendicare quell'onta è più importante di tutto il resto. Al che brucia la sua carta d'identità, i suoi documenti, e decide quindi che la sua fuga dal “reale” sarà definitiva.

Esempio esagerato? Forse. Solo forse.

 

Io ho un lunghissimo passato da role player anche se non ho mai giocato dal vivo, ma solo attorno a un tavolo, coi dadi e tutta l'attrezzatura necessaria (manuali, tabelle, espansioni). Ciò nonostante mi è capitato di conoscere dei giocatori talmente presi da ciò che facevamo da considerare prioritaria la vita dei loro alter-ego. Parlavano per buona parte del giorno di strategie ed evoluzione del loro personaggio, studiavano avanzamenti di livello, nuove caratterizzazioni che lo rendessero unico e memorabile.

Ricordo che, quando masterizzavo, io stesso ho vissuto una fase molto intensa di immedesimazione. Fase in cui la programmazione delle campagne di gioco era più importante dell'esame da sostenere o del frigorifero vuoto da riempire, tanto per fare due esempi pratici. In quella fase della mia vita ero forse assimilabile allo Sciamano Murtagh di The wild hunt, o anche a Bjorn Magnusson, il personaggio più complesso e struggente del film.

Solo che io (SEGUE SPOILER) non ho fatto, per fortuna, la triste fine di Bjorn, il “prediletto di Thor”. Né l'hanno fatta i role player più monomaniaci che conoscevo all'epoca. Almeno credo. Ma qualcuno forse ha rischiato di rimanere intrappolato nel meccanismo. O magari è anche successo, solo che il meccanismo si è trasformato da gioco di ruolo a videogioco, o altre cose affini.

Chi lo sa (anzi, diciamo che lo so, ma non posso dire molto, trattandosi di persone reali).

Senza parlare di un paio di giocatori di Vampiri che ho conosciuto di recente – per motivi del tutto extra GDR – che mi hanno lasciato davvero perplesso. In questo caso parlare di immedesimazione è addirittura riduttivo.

 

Ma non bisogna colpevolizzare i giochi di ruolo. Nemmeno quelli dal vivo. Senza i GDR non sarei diventato uno scrittore, o almeno credo. Essi si sono sempre rivelati una straordinaria palestra per la creatività e l'immaginazione. E, occorre ricordarlo, mi sono divertito moltissimo, sia come player che come master. Col senno di poi lo rifarei? Senz'altro sì. Anzi, per dirla tutta, ci sono momenti in cui una sessione di GDR mi manca come se mancasse l'aria. Come la droga? Ma sì, dai, mettiamoci anche questo parallelismo. Mi manca la spensieratezza di quei momenti e l'occuparsi di un alter-ego del tutto libero dai noiosi e spesso squallidi vincoli della quotidianità.

Ancora: col senno di poi posso dire di aver rischiato qualcosa, nei panni di ex giocoruolista quasi compulsivo? Forse sì. Ammesso che il senso di sentirsi liberi e lontanissimi dalla realtà possa considerarsi un rischio. Di certo non ho mai rischiato di far del male a qualcuno per una sessione di GDR. Io e i miei compari eravamo lontanissimi dagli estremi di The wild hunt.

 

Concludo questo articolo/recensione chiedendovi se potete consigliarmi qualche saggio che parla degli aspetti psicologici che stanno dietro ai giochi di ruolo. Niente orrendi pamplet moralistico-cattolici, per carità: solo buoni titoli con una visione equidistante della faccenda.

Grazie!

 


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