Una parabola ascendente e destinata a venir ricordata come uno degli esempi di sviluppo videoludico sano, capace ed attento alle esigenze del pubblico: questo e tanto altro è la saga di The Witcher. Tutto merito di CD Project RED, una software house capace di imporsi prima nel mercato nazionale polacco e poi di “conquistare” l’intero mondo videoludico. A loro si deve la scoperta in Italia del genio di Sapkovski che pur se riconosciuto da tempo come maestro di un fantasy complesso e maturo, è ancora in fase di traduzione nel Bel Paese (il primo libro dei romanzi con protagonista Geralt, datato 1994, è stato pubblicato in italiano nel 2012!). Certo il merito di questa casa di sviluppo non è “solo” culturale: siamo partiti da un prodotto con potenziale largamente inespresso (The Witcher), e con gravi carenze tecniche, passati per un secondo capitolo che si faceva beffa anche delle più pompate GPU e infine per arrivare ad un videogioco completo, eterogeneo e di grandissimo impatto quale è The Witcher 3: Wild Hunt.
La storia si infittisceLa trama di questo terzo capitolo della saga risulta da subito ben strutturata e coinvolgente. Nilfgaard ha invaso (di nuovo) i regni del Nord, che sembrano dover riporre le loro ultime risorse solo sulla tenace Redania. Con Re Foltest scomparso già dal secondo capitolo la Temeria non è riuscita a fermare l’ondata di piena degli oscuri, che ora spadroneggiano nelle terre “gigliate”. In un contesto quindi politicamente delicato e precario si muove Geralt di Rivia che, insieme al vecchio Vesemir, si reca a Bianco Frutteto, sulle tracce della bella Yennefer. Vedendo i primi trailer sarebbe sembrata l’ennesima ricerca della sfuggente maga, invece il gioco ci spiazzerà come sempre, rivelandoci il succo della narrazione solo dopo qualche ora di gioco. Trovare la nostra ex-amante (chissà poi per quanto) sarà semplice, molto meno il compito assegnatoci subito dopo: ritrovare la nostra figlia adottiva, Cirilla. Non ci vogliamo addentrare troppo nei risvolti della trama, per vari motivi: innanzitutto questo terzo capitolo riprende in pieno quanto si potrà leggere negli ultimi due libri della saga (di cui l’ultimo disponibile solo in inglese), approfondendo peraltro aspetti della politica e delle vicende del mondo fantastico creato da Sapkovski, tanto che una sinossi più approfondita in questa sede risulterebbe solo sgradita. Possiamo però sottolineare sia la grande cura profusa da CD Project Red nel ricreare una impalcatura storica in linea con il mood della serie e ben innestato con le caratteristiche dei personaggi. Non solo, ma bisogna anche evidenziare la grande classe narrativa dimostrata: l’intero gioco si snoda attraverso l’elaborazione di un tema ricorrente, quello della caccia. Come si evince dal titolo la spaventosa Wild Hunt, ovvero la demoniaca schiera di cavalieri fantasma, sarà solo una delle pedine impegnate in un continuo gioco di inseguiti ed inseguitori. Geralt che segue Ciri, Ciri che è seguita dalla Caccia Selvaggia, la Caccia Selvaggia che bracca Ciri, ma che contemporaneamente segue chiunque possa conoscere la giovane figlioccia dello strigo e così di questo passo; l’intera produzione sembra essere inserita in un moto infermabile ed irresistibile. Andando più nel dettaglio del comparto narrativo, The Witcher 3 spicca anche grazie ad una costruzione incredibile di ogni quest e subquest, a prescindere da come questa si innesti all’interno del main theme. Non solo quindi le scelte che compiremo, come vedremo, avranno pesanti conseguenze nel mondo di gioco (certo a seconda del peso delle situazioni che ci si presenteranno dinanzi), ma saranno comunque sempre incredibilmente curate e dettagliate, sia a livello di racconto che di gameplay.
Vita da strigoPad (o tastiera) alla mano, il videogioco si mostra indubbiamente nella sua versione migliore. Gli elementi di questo piatto di alta cucina sono un open world ben integrato e, nella sua eterogeneità, plausibile e vitale, un sistema di combattimento pur se non eccelso gradevolissimo, una grande struttura di loot, alchimia e skill, ed ovviamente una capacità di compenetrazione di grande livello. L’obiettivo principale del gameplay, centrato in pieno, è quello di offrire al giocatore una completa immedesimazione nei panni di uno strigo (e non uno qualsiasi). Il mondo pullulerà di missioni, bacheche degli annunci, amici, mostri da cacciare, tesori da trovare. Tutto però verrà approcciato con lo stile unico di Geralt, ma senza privarci della possibilità di scelta e di bivi da prendere (e nonostante il protagonista rimanga fedelmente plausibile alla propria filosofia, nel corso degli eventi ci ritroveremo ad affrontare decisioni importanti, pesanti e con un ruolo decisivo nella trasformazione del mondo di gioco). Il tutto assomiglia, più che ad un formicaio brulicante di vita, ad un affresco dinamico, che cambia con il tempo e che regala momenti di vita fantasy incredibilmente vividi e forti. The Witcher 3: Wild Hunt non è una simulazione in stile medievale a tutto tondo, non è esente da problemini di IA (come i fabbri al lavoro 24 ore su 24 nelle loro botteghe), ma raggiunge un grado di compenetrazione tra trama, reazione del mondo di gioco alle nostre azioni e level design, forse unico nel suo genere. Il combat system non deluderà la maggior parte dei nostri lettori, ma si rivela ottimo solo nelle battaglie singole, dove il lock del target e la necessità di impararne pattern e movimenti rende lo scontro molto interessante. Durante le battaglie di gruppo invece l’assenza di un preciso indicatore di attacco degli avversari renderà il sistema (che assomiglia molto a quello della serie Batman, almeno nell’uso di spada e schivata) un po’ carente. Nonostante questo ricordiamo che il vero nocciolo sta nella caratterizzazione dei mostri da affrontare: senza una letta al bestiario, e senza le giuste pozioni, bombe ed unguenti, sprecheremo molte energie inutilmente. Ad aumentare ancora di più il senso di grande ruolismo offerto dal prodotto saranno le sessioni investigative, nelle quali il nostro Lupo Bianco dovrà analizzare, grazie ad i suoi sensi acuti, l’ambiente e le tracce necessarie per raccogliere informazioni utili alla missione. Menzione d’onore poi al sistema di alchimia, di creazione dei materiali (che potranno essere forgiati solo da terzi) e di avanzamento dei livelli. Mentre sui primi possiamo semplicemente dire che funzionano, che non costringono il giocatore a ricercare erbe e pezzi di pietra fino ad impazzire (grazie ad un loot generale generoso ma attento a non renderci overpowered), il level tree è invece anche molto originale. Con l’avanzare dei livelli sbloccheremo punti abilità e slot. Mentre i primi servono a comprare le abilità di turno (alchemiche, magiche e via dicendo) i secondi serviranno ad attivarle, cosa che renderà la costruzione di Geralt molto meno banale di quanto succeda in tanti altri GDR, essendo le nostre capacità limitate dalla penuria di spazi a disposizione. A spezzare un poco la serietà del comparto gameplay si inseriscono le tre attività ludiche che Geralt potrà intraprendere nel vasto mondo di gioco: il Gwent, uno pseudo pugilato da strada e le corse su cavallo. Il primo rappresenta un passo avanti rispetto ai dadi, visto che bisognerà non solo sconfiggere i vari sfidanti ma anche, e soprattutto, raccogliere le carte di gioco più rare. Si tratta comunque di un card game piuttosto ripetitivo, nel quale bisognerà creare un proprio esercito da opporre a quello nemico, attraverso dinamiche piuttosto semplici e dipendenti più dalla forza del mazzo che dalla propria bravura. I vari combattimenti, ci porteranno nei vari ghetti a scontrarsi contro i campioni delle varie cittadine, mentre le corse di cavalli invece risentono di alcuni limiti tecnici, più che di scarso appeal, essendo il cavallo l’unico neo della produzione, chiudendo sul versante gameplay: un essere mostruosamente macchinoso durante le gare e praticamente inutile nel resto delle attività, soprattutto spade alla mano.
Gioia per gli occhiTecnicamente si vedono alcuni limiti della produzione, ed insieme però anche i meriti forse più alti ed importanti della stessa. Pecche di questo The Witcher sono indubbiamente alcuni numerosi glitch grafici, qualche fenomeno non diffuso di texture popping ed una generale macchinosità delle interazioni tra Geralt e l’ambiente. Sovente quindi sbatteremo contro rami, pezzi di legno alti pochi centimetri o rimarremo incastrati in qualche strano costrutto contadino fatto di reti e staccionate. A questo si aggiunge una cattiva mappatura delle interazioni con gli oggetti per il pad, con il quale sarà a volte ostico riuscire ad aprire il loot. Nonostante questo generale irrigidimento però, possiamo dire che la sensazione passa subito, sostituita dalla grande meraviglia che ci si para davanti. Non entreremo nel merito del famoso downgrade, in sede di recensione abbiamo da segnalare solo l’enorme cura del dettaglio profusa dalla software house, capace di ricreare ambienti non solo plausibili, ma anche densi di avvenimenti, di elementi e, cosa più importante, dinamici con le condizioni atmosferiche. Il ricordo delle mappe sempre uguali di Dragon Age: Inquisition è finito: il mondo dello strigo è un mondo in continua metamorfosi. Le strade di Novigrad, tanto belle quanto fangose nei tratti privi di selciato, ci mostreranno la loro magnificenza durante le giornate di sole, o il loro lato più sporco durante le piogge frequenti e fastidiose. I ridenti villaggi temeriani potranno essere spazzati da tempeste di proporzioni incredibili, con tanto di fulmini, scrosci d’acqua torrenziali e nuvoloni in movimento. Gli stessi villaggi potranno poi essere meno ridenti, magari portando ancora i segni della guerra. Ed ancora il gioco ci offrirà decine di altri scorci e biomi differenti (dalla montagna alle paludi), in un contesto che si sposa egregiamente con l’interazione dei PNG e con la struttura delle quest. Elemento quest’ultimo fondamentale per aiutare il giocatore ad immedesimarsi: effettivamente sarebbe risultato ridicolo per uno strigo aiutare la solita vecchia ad uccidere ratti nello scantinato, magari in un piccolo agglomerato di case nel bel mezzo di una selva di acquitrini metifici, ed infatti il sistema inserisce le giuste missioni nel giusto contesto (eliminare il mostro che si nasconde nella cava di torba del paesello, per esempio). Tutto questo viene aiutato da un comparto grafico di tutto rispetto, soprattutto per ciò che riguarda le espressioni facciali e le caratterizzazioni dei volti, finalmente veraci ed originali, tali da far sembrare ogni dialogo tangibile e reale. Grande plauso ovviamente alle musiche, da sempre piccolo gioiello nelle produzioni della saga. Ad essere perfezionisti risultano forse alla lunga poco differenziate, ma è anche colpa del fatto che il videogioco rapisce per ore ed ore, non aiutando certo l’orecchio a svagarsi come vorrebbe. In conclusione il titolo si rivela come un’opera tecnicamente all’avanguardia, vista anche la mole di informazioni e di elementi a disposizione del giocatore, all’interno di un mondo di gioco completamente open world e privo di qualsivoglia caricamento.