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The woman in black

Creato il 15 ottobre 2014 da Jeanjacques
The woman in black
Lo ammetto, a me degli attori è sempre importato ben poco. E non me ne voglia chi recita, perché la mia non vuole essere un'affermazione assolutistica, quanto un dato di fatto. Quando guardo un film, gli attori sono fra le ultime cose che guardo. Un po' per un mero limite personale, un po' perché la maggior parte delle volte i film li vedo doppiati (ma quelli con attori seri 'che contano' o che richiedono delle performance molto sentite cerco di vederli in lingua originale) e un po' per motivi di studio. Ricordo che io ho studiato come sceneggiatore - che poi non lo sia diventato o che non abbia palesemente capito nulla è un altro discorso - quindi, in maniera del tutto errata, tendo a concentrarmi maggiormente su chi ha scritto o diretto una data pellicola. Ho i miei attori preferiti ma manco la loro presenza mi convince a visionare dei determinati film. Però ci sono delle eccezioni che, come in questo caso, mi portano a una discreta curiosità. Come tutti quelli nati negli anni Novanta sono cresciuto con la saga di Harry Potter, sia essa letteraria e cinematografica, e di conseguenza quella dell'inespressivo Daniel Radcliff è stata una faccia che per più di un decennio mi ha fatto compagnia. Però un giorno la saga su celluloide del maghetto è finita e quindi che fine avrebbero mai fatto quegli attori non più bambini?

Arthur Kipps è un giovane avvocato, provato dalla morte della moglie, che viene inviato nella cupa brughiera inglese per sbrigare alcune faccende legate a una vecchia casa. Peccato che intorno all'abitazione vi sia una maledizione, legata alla donna in nero che diede origine a tutto, che terorrizza tutti gli abitai del villaggio...

Del vecchio trio l'unica che sembra essersi salvata è Emma Watson, esplosa come bomba sexy [ricordo che è maggiorenne, quindi se volete sfogarvi, fatelo pure!] con The bling ring e confermata col delizioso Noi siano infinito, mentre il rossocrinuto Rupert Grint (che per me era il più bravo) si è dovuto accontentare di fare il video di Lego house e poi scomparire nell'ombra. Resta quindi la questione su Radcliffe, quello che è stato il volto ufficiale della saga per un decennio, che ora che il personaggio che l'ha reso celebre ha finito quello che aveva da dire, deve reinventarsi. Da una parte c'è quindi il fatto di come possa essere difficile il vederlo in una parte diversa, di come il pubblico si sia abituato a vederlo in un'ottica ben precisa e che quindi non sappia prenderlo sul serio in un altro ruolo, dall'altra ce la sua capacità attoriale che, per quello che può essere il mio modesto parere, non è mai stato particolare motivo di vanto. Ma è una questione che attirava molta gente e sulla quale gli azionisti che hanno finanziato questo film hanno puntato molto, perché seconda a questa c'è stata solo la partecipazione di una poco vestita Eva Green in A dame to kill for. E avrebbero potuto dire anche che era il secondo film prodotto dalla risorta Hammer film, la storica casa di produzione che ha lanciato alcuni dei classici del cinema dell'orrore - fra i quali il Dracula interpretato da Christopher Lee - e che si era rilanciata col delizioso Let me in, ma nulla. Tutto sul piccolo Radcliffe. Che per dire, potevano aggiungere che lo aveva scritto la sceneggiatrice di Kick-ass e First class, la popputissima Jane Goldman (che amore, vedete qui), ma ancora nulla. Tutto su di lui. E quindi ti viene un poco spontaneo far valutare il risultato finale della pellicola sulla sua interpretazione, perché ogni cosa viene fatta decollare sulla sua persona. E non solo dal bottage pubblicitario che ne viene fatto, ma anche per quanto concerne la storia e la regia del suo conterraneo James Watkins, qui alla sua seconda opera come regista. Perché è inutile negarlo, ma se prendi un attore che per dieci anni ha portato avanti una delle saghe più redditizie della storia, lo metti come interprete principale in un film dove per tre quarti del tempo è l'unico attore sullo schermo e con una macchina da presa che indugia unicamente sui suoi primi piani, allora il gioco è fatto. Che poi la regia di Watkins non è da buttare, alla fine, ricalca le atmosfere di un certo cinema gotico passato e lo fa con garbo e compostezza. Forse fin troppa compostezza, ed  proprio questo suo non esagerare mai che non fa decollare una storia che forse avrebbe necessitato proprio di una bella batosta, magari inaspettata, messa però al punto giusto. Ma è proprio questo classicismo che la frena perché, non aggiungendo nulla di nuovo, da l'idea di ascoltare la cover di una canzone che amiamo fatta da una band con poca inventiva. La canzone è suonata in maniera leggermente diversa ma alla fine è sempre lei, non ha nulla per differenziarsi da quella originale, sembrando quindi una copia sbiadita. Se questo film fosse uscito trent'anni fa (ma una versione ne era già stata fatta, va detto) oggi lo etichetteremmo come cult, forse, ma ora che la prima decade del nuovo millennio è passata appare solo polveroso come la sua scenografia. Si cerca di spaventare con qualche trucchetto da bubsettete e commuovere con un finale effettivamente bello ma portato in scena con un'imbarazzante fretta. Il risultato finale quindi è quella di una bella confezione vuota che ti fa pensare però a un regalo bellissimo, illudendoti malignamente. In più con un attore protagonista non all'altezza.

Una cosa però è certa: la lotta fra Happy Popper e Voldemort oramai è definitivamente conclusa, mentre quella di Daniel Radcliffe contro se stesso è appena iniziata.Voto: 
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