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the words

Creato il 25 settembre 2012 da Albertogallo

THE WORDS (Usa 2012)

locandina the words

Premessa: sono andato a vedere questo film solo perché su MyMovies gli orari di Pietà erano sbagliati, e quando sono arrivato davanti al cinema l’alternativa era tra guardare qualcos’altro in qualche sala nei paraggi o tornarmene a casa con la coda tra le gambe (ok, c’era anche la possibilità di andarsi a bere qualcosa con gli amici, ma quando sono in modalità cinema c’è poco da fare, quella è e quella rimane).

Così ho scelto la prima opzione. E ho fatto male. Ma d’altronde non potevo saperlo. Come potevo immaginare che questa cosa che sembrava un thriller psicologico è in realtà il più trito, scontato e maldestro dei polpettoni sentimentali, con tanto di tragica storia d’amore parigina (il prossimo dramma amoroso hollywoodiano dalle ansie esterofile voglio che sia ambientato a, non so, Amburgo, o Pechino, o nella campagna irlandese… Perché non nella campagna irlandese? È bellissima!), gente che vuole rimediare ai propri errori, “perché mi ami?”, “sento che sto crollando” e varie simili amenità. Nemmeno la presenza del grande Jeremy Irons e di quella sventola di Olivia Wilde (attrice cagna come poche, tra l’altro) basta a risollevare le sorti di un film che fa dell’inutilità il suo tratto distintivo.

E pensare che The words, diretto da Brian Klugman e Lee Sternthal (boh), non inizia nemmeno malaccio, con quell’alone di intrigante mistero a circondare le vicissitudini di Rory Jansen, scrittore fallito che pubblica a suo nome e con enorme successo un manoscritto ingiallito rinvenuto in una vecchia borsa di pelle. La confezione è elegante, il cast di buon livello (oltre ai nomi già citati anche Bradley Cooper, Dennis Quaid e Zoe Saldana) e quando in un film si parla di libri, be’, l’interesse è garantito (anche se il rischio di partorire fallimenti è sempre dietro l’angolo, cfr. La nona porta di Polanski). Dopo mezz’ora, però, tutto si sgonfia, i dialoghi diventano patetici, la vicenda noiosa, estenuante, prevedibile. Gli ultimi trenta minuti, in particolare, sono una ridicola agonia (soprattutto per quanto riguarda la storia di primo livello, quella che vede protagonista lo scrittore Clay Hammond che legge ad alta voce il suo ultimo romanzo e dalle cui parole nasce la storia di Jansen: ter-ri-bi-le).

Sul resto – fotografia, musiche, riferimenti pseudo-intellettualoidi a John Fante e Hemingway… – non ho assolutamente nulla da dire. Bah!

Alberto Gallo

Ps: in realtà una cosuccia da dire ancora ce l’ho, e cioè che la vicenda, chissà perché, mi ha ricordato alla lontana certe atmosfere alla Trilogia di New York di Paul Auster. Mi sarò bevuto il cervello?



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