Promiscuità: “un disco forte e maturo, diretto, violento in alcuni punti però sempre bagnato da una cascata di malinconia adolescenziale dream”.
In attesa dell’uscita del terzo album, “Promiscuità”, abbiamo fatto due chiacchiere con i Thegiornalisti, Tommaso Paradiso, Marco Antonio Musella e Marco Primavera. Ci hanno raccontato dei loro trascorsi, dei cambiamenti, di quello che non si aspettano dal tempo e della naturale indole classic pop intrisa di una potente carica emozionale.
L’ attitudine che emerge dalle loro parole si riverbera sulle sonorità, attaccate al passato cantautorale ma in continua evoluzione. Si plasma così una musica decisa e disincantata ma inevitabilmente madida di idealismo e di quella melanconia visionaria che ci tiene tutti qui, in attesa di ascoltare l’intero nuovo disco.
- Il primo estratto da Promiscuità dà subito l’impressione di un cambiamento nel core del gruppo sia dal punto di vista delle sonorità che dei testi. Come si sta evolvendo la band e cosa ha inciso su questo cambiamento?
Se cambia il modo di vivere cambia anche il modo di pensare una canzone, dal suono, al testo, alla melodia. Si cresce e coerentemente cambiano anche gli stili con cui si fanno le cose. Fare sempre la stessa canzone o lo stesso album sarebbe come mangiare omogeneizzati per tutta la vita. Per questo disco abbiamo totalmente assecondato la cultura pop con la quale siamo cresciuti, quella più nostra.
- Di voi si dice che evitate “l’indie scazzato” con abilità. Condividete quest’affermazione?
Sì. Può essere un’ affermazione giusta. Ognuno fa quello che sa fare. Più che un’abilità è una caratteristica connaturata nella band. Noi siamo una calssic pop band, non siamo in grado né di fare emocore generazionale, né quelle musichette minimal con testi minimal surreali fiorellini e depressione. Suoniamo e scriviamo quello che viviamo nel modo in cui viviamo.
- Quale tra i vostri versi considerate il manifesto dei Thegiornalisti?
“Ma di certo non si può dire che non ci piaccia il bere” (Bere). In realtà ogni frase rappresenta la band, dalla prima all’ultima. In questo nuovo disco tutti i versi sono manifesti della band. Tutti dal primo all’ultimo.
- A chi ha criticato “Vecchio” considerandolo solo una celebrazione di sonorità passate come spiegate la differenza tra rispolverare e rielaborare?
In realtà non ci siamo riusciti. Noi volevamo veramente fare un disco anni 70′, ma non ne siamo stati in grado. Avremmo dovuto metterci a studiare di più. Invece è uscito un ibrido tra suoni non vecchi e non giovani. Se l’avessimo fatto veramente come l’avevamo in testa sarebbe piaciuto un casino di più. Non è bastato l’analogico, il nastro, e strumenti vecchi. Oggi è impossibile far suonare un disco esattamente come suona un disco degli anni 60′ o 70′ o qualsiasi decade in giù.
- Presentateci il nuovo album, dall’artwork a quello che ci riserverà l’ascolto.
Dell’artwork se ne sta occupando Alessandro degli Angioli degli M+A, ha molto gusto ed è perfetto per questo disco. Penso che il tema centrale siano le canzoni, sono estremamente espressive e sono chiare e dirette senza giri di parole. Non vorremmo dirti quali siano gli orizzonti sonori o che tipo di musica sia, nel senso che ognuno poi ci sente quello che vuole, non vorremmo fuorviare l’ascoltatore con i nostri giudizi a priori.
- “Diamo tempo al tempo se ci va o rimarremo in coda con l’ansia di non arrivare mai” recita un vostro pezzo. Qualcosa che cambiereste, che rivivreste, che vi aspettate dal tempo per i Thegiornalisti.
Il tempo è una tema centrale nelle nostre canzoni. Non cambieremmo nulla, forse, come ti dicevo prima, l’unica cosa che avremmo dovuto cambiare è stato l’approccio con cui abbiamo registrato Vecchio, non saremmo dovuti uscire dallo studio finché quel disco non avesse suonato come un disco della Plastic Ono Band. Non vorremmo rivivere nulla due volte se non forse qualche vecchio bacio o qualche giorno a scuola ma a quel punto, poi, si perderebbe tutto il senso malinconico e nostalgico della vita e non scriveremmo più canzoni. Il tema di aspettarsi qualcosa ci fa sempre un po’ di paura. Meglio non pensare mai a quello che deve venire. Se speri nel bene e poi ti va male è un’ angoscia. Se non hai fiducia nel futuro vivi male il presente. Meglio farsi trasportare dalla vita stessa. Noi il nostro l’abbiamo fatto, abbiamo scritto un album che a noi emoziona molto, in più è pure fico.
- Promiscuità è stata la canzone da inserire nelle playlist estive tra provocazione e obiettività. Ci sguazziamo tutti, volenti o no. Quale malinconia si nasconde, se si nasconde, dietro l’euforia delle sigarette fino alle sette?
Promiscuità è una canzone a due facce. C’è la vera promiscuità della notte, dell’alcool, della seduzione, delle gambe, degli sguardi assassini, delle toccate e fughe al cesso o quando la luce si abbassa, del locale, della festa e poi c’è quella promiscuità più adolescenziale del tempo delle mele, quella da film svedese per giovani teenagers, quella che finisce con grandi discorsi fino alle sette del mattino e tante sigarette, quella che magari si trasforma in un potentissimo ricordo di quella notte. Forse è proprio questa l’anima del disco, di tutto il disco. E’ un disco forte e maturo, diretto, violento in alcuni punti però sempre bagnato da una cascata di malinconia adolescenziale dream, questo è l’equilibrio su cui poggia il nuovo album.
- Infine, meglio essere “uomini non tanto per il fatto che si muore ma perché usiamo le parole per comunicare” o essere “tutti marziani”?
Tutti e due. In realtà la prima dovrebbe fare in modo che la seconda non accada. Comunicare, parlare, sempre come unica via per entrare nella vita degli altri. Nel nuovo album c’è una canzone che riprende questo tema. Parla di quello che secondo noi dovrebbe essere il destino dell’uomo, destino non inteso come futuro ma come missione , compito, è la storia della nostra natura che ce lo dice.
A cura di Elisabetta Rapisarda.