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Qualcuno lo chiama effetto vintage, alcuni passatismo, altri ancora lo chiamano retrò, ma c’è qualcosa di più di una mera corrente modaiola nel recupero del passato, e nemmeno si più parlare di nostalgia, perché sempre più spesso a viaggiare indietro nel tempo sono artisti che quelle epoche non le hanno vissute, e allora qual è la vera forza del passato?…
La forza del passato forse è semplicemente l’essere passato, il segreto è quel sapore di vecchio, l’alone ammuffito di una vecchia casa, di quelle con la carta da parati ingiallita e i mobili di legno scricchiolante, l’atmosfera di una domenica pomeriggio passata a riordinare album di fotografie che smuovono chili di polvere ad ogni pagina sfogliata, a svuotare gli armadi di un lontano zio e trovarsi a giocare con vestiti e oggetti visti soltanto nei vecchi telefilm. A tutti è capitato almeno una volta, e la sensazione che ne nasce è spensierata e rilassante, un po’ intima a volte, e in qualche modo rassicurante, quasi il passato ci venisse in soccorso quando le cose non vanno proprio per il verso giusto dicendoci “prendetela come viene e andrà tutto bene, fidatevi di chi ne ha passate parecchie“.
Insomma, il fascino del passato – soprattutto in campo musicale – resta intatto e resiste alle sportellate di correnti artistiche giovanissime, sonorità ultra moderne e fenomeni da baraccone, lo fa da sempre e certo non smetterà ora, ma anche tra i suoi cultori le correnti di pensiero si separano, c’è chi, forse per una sorta di purismo o di sudditanza psicologica, o forse nella completa convinzione che tutto ciò che poteva essere creato è già stato creato, si rifugia nel culto dei classici e nella loro fedelissima riproduzione per quel che riguarda sonorità, tempi, atteggiamento e persino contenuti dei testi. C’è chi invece dal passato prende spunto per portare avanti progetti originali e innovativi, andando ad aggiungere tasselli di modernità al sound datato, e il risultato può diventare – se la passione che ci si butta è quella giusta – un bel mix sonoro dall’animo moderno e dal retrogusto “vecchio”.
“Vecchio“, questo l’azzeccatissimo titolo che campeggia sulla copertina del secondo album dei Thegiornalisti, formazione romana già salita agli onori della cronaca nel settembre 2011 con l’ottimo esordio di “Vol. I”, e che ad un anno di distanza sono approdati nei negozi di musica con il nuovo lavoro che nel passato (musicale e non solo) affonda saldamente le proprie radici. Si mette il disco, si preme play e l’attacco dei cori di “La tua pelle è una bottiglia che parla e se non parla vado fuori di me” solleva il sipario su uno scenario rurale e scanzonato un po’ inaspettato, che ricorda un qualunque paesino di provincia, dove il traffico non esiste e ci si rifugia la domenica pomeriggio per sfuggire allo stress della città.
È proprio questa l’impressione, che i Thegiornalisti vogliano scappare dalla città e dalle sue costrizioni, staccarsi dai ritmi frenetici, dallo stress e da certi obblighi più o meno indotti per riuscire ad essere sè stessi per un po’, andare in campagna a trovare quel vecchio e saggio zio che suonava il jazz per cantarsela e suonarsela senza bisogno di attrezzature che pettinino il suono, “naked”, come dovrebbe essere il rock’n'roll, con i soli strumenti, la voglia di divertirsi, le parole in totale libertà e un sano “vivi e lascia vivere”.
Gli ingredienti dell’album sono tutti qui, semplici ed essenziali, ‘chè la vita – dice lo zio – a volte va presa così come viene, senza complicarla più di quanto già non sia. E allora ecco che lungo le 12 tracce i Thegiornalisti si divertono a giocare con la musica, saltellando dal pop al rock’n'roll, dal rockabilly al beat british style, con una spolveratina di jazz quanto basta per passare una bella mezz’ora (36 minuti per la precisione) in un’atmosfera che appare da subito familiare, confidenziale e rilassata nonostante le nevrosi figlie della vita frenetica di tutti i giorni.
È impossibile non battere il piede al tempo di “Il tradimento”, così come al riff iniziale di “Pioggia nel cuore” non si può non notare (e apprezzare) l’eco lontano di Chuck Berry, e le dita si muovono da sole schioccando a ritmo sull’honky tonk leggero di “Guido così”. C’è un bel revival strokesiano in “Cinema” che alza bpm e volume ma senza dilagare in un sound nervoso, mentre la title-track e la successiva “gatti” fanno da manifesto degli intenti con i loro ritmi scanzonati e la voce di Tommaso Paradiso che racconta di quando “Noi ce ne andiamo con la spider su, su e giù per la Via Aurelia tra la campagna e il mare” o di quando “Fa freddo a dicembre, e io mi rintano a casa, a vedere i documentari che danno alla TV”, e poi ancora altre liriche leggere e spensierate che suonano come le frasi di quel famoso zio, che ti guarda mentre sei nervoso e ti dice “E che ci vuoi fare?”, che non capisce cos’è tutta questa perenne fretta e, pacato, suggerisce: “Diamo tempo al tempo”.
Insomma, per scovare il fascino di questo album non cercate nella rabbia dei Ramones, e nemmeno tra le poesie impegnate dei grandi cantautori di casa nostra, cercatelo piuttosto in un battisti d’annata – quando ancora la vena depressiva non lo aveva travolto – o nei divertissement alla Sergio Caputo, andate in zona Beatles e per questa volta lasciate riposare “Sgt. Pepper”, “Revolver” e “Rubber soul”, recuperate invece “Please please me” o “A hard day’s night” e concedetevi una pausa, lasciate lo stress chiuso fuori e regalatevi una domenica pomeriggio di spensieratezza, domani sarà lunedì e la città suonerà come i Motorhead, ma oggi è bello prendersela al ritmo dei Thegiornalisti, e anche se suona un po’ “Vecchio” il divertimento è assicurato…
Voto: 7,5
Tracklist
1. La tua pelle è una bottiglia che parla e se non parla vado fuori di me
2. Il tradimento
3. Pioggia nel cuore
4. Una domenica fuori porta
5. Diamo tempo al tempo
6. Guido così
7. Cinema
8. Vecchio
9. I gatti
10. Bere
11. E che ci vuoi fare
12. Nato con te
Recensione pubblicata su Oubliette Magazine
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