Paestum come luogo delle donne e per le donne
«…ora che s’era liberata dalla falsità, la giovane donna non aveva che da essere se stessa. Ah, ma che cos’è «se stessa»? Voglio dire: che cos’è una donna? Vi assicuro che io non lo so. Né credo che lo sappiate voi…»
(Virginia Woolf, Professioni per le donne)
La proposta formulata da Sara Gandini e Laura Colombo circa la possibilità di coinvolgere gli uomini nell’incontro femminista nazionale che si svolgerà a Paestum ha sollevato degli scambi piuttosto accesi. Si è parlato di “passione politica”, noi personalmente la chiameremmo grande, enorme perplessità.
Vorremmo illustrare qui alcune delle motivazioni per cui ci troviamo contrarie ad una partecipazione “attiva” degli uomini all’incontro che si terrà a Paestum il 4, 5 e 6 ottobre 2013.
Lo “stato dell’arte”
Con una lettera pubblicata sul sito della Libreria delle Donne di Milano e indirizzata a noi di Femminile Plurale, Sara Gandini e Laura Colombo, firmatarie con noi e altre della lettera di invito, lanciano la proposta di “aprire” l’incontro nazionale di Paestum 2013 agli uomini. Tuttavia, la partecipazione agli uomini non era stata preclusa durante Paestum 2012. L’anno scorso erano presenti alcuni uomini che hanno ascoltato ma che non hanno preso parte alle attività. In seguito ad alcune proteste riguardo alla proposta, si è aggiustato un po’ il tiro e si è pensato di “ammettere” all’incontro nazionale (tramite degli inviti?!) solo quegli uomini (i buoni?) con cui si sia già in relazione politica di scambio.
Quali uomini?
Ad oggi, in Italia non esiste un ampio movimento maschile che rifletta sulle questioni di genere, e ci sembra che non si sia un pensiero degli uomini condiviso, maturo e pronto per un confronto con il femminismo. Con chi, quindi, dovremmo confrontarci?Come giovani donne, non avvertiamo da parte degli uomini la necessità e la richiesta di un dialogo in questo senso. Ci pare evidente che per gli uomini non ci sia la stessa urgenza di dialogo e di cambiamento che le donne avvertono, e ciò evidentemente perché essi sono ancora in una posizione preminente nella gerarchia politica tra i generi. Temiamo che, ammettendo la partecipazione degli uomini a Paestum 2013, si potrebbe creare una disparità, come se ci fosse “chi ha bisogno e chiede” e “chi non ha bisogno e riceve le richieste”, ricalcando così l’atteggiamento “tutelare” nei confronti delle donne (tipico peraltro degli organi delle pari opportunità della politica prima, a cui tante volte ci siamo opposte). Inoltre dato che si tratterebbe di “ammettere” una sorta di “quota blu” con degli inviti diretti, chi dovrebbe decidere quali uomini “ammettere” e quali uomini escludere?
Uomini sì o uomini no? Meglio di no.
La proposta relativa alla partecipazione maschile è stata presentata come segno/sintomo di novità e cambiamento. A noi francamente pare un tornare indietro, cedendo uno spazio per cui le donne hanno lottato. Durante l’incontro nazionale dell’anno scorso abbiamo ascoltato con estremo piacere i racconti di donne presenti nel 1976, che avevano vissuto quell’incontro anche come un modo per “sottrarsi” ai doveri loro imposti in quanto Donne, per sfuggire al controllo di mariti, padri, fratelli, per entrare in un luogo in cui prendere liberamente coscienza e parola. Un luogo di pratica politica femminista.
Quanto sono cambiate le cose rispetto a 36 anni fa? Per alcune è cambiato tutto, per altre non è cambiato nulla. Uno degli argomenti che vengono impiegati a favore di una partecipazione maschile a Paestum 2013 è che le donne ormai, grazie al femminismo, hanno raggiunto quella consapevolezza di sé e delle strutture di potere che le circondano tale da permettere un dialogo genuino e autentico con gli uomini. Ebbene, noi vorremo far presente che purtroppo non tutte le donne sono al medesimo punto del percorso di presa di coscienza e liberazione rispetto alle strutture patriarcali che condizionano, influiscono e determinano molteplici aspetti della nostra vita.
Proviamo un attimo a guardare al di fuori dei nostri luoghi abituali, e osserviamo la situazione delle altre donne, guardiamo – solo per fare un esempio tra i tanti – alle giovanissime, davvero non c’è più bisogno di stare sole tra noi? Davvero questa fase del femminismo è superata? Davvero quello che è stato acquisito, lo è per sempre? Ecco, preferiremmo che i nostri sforzi si concentrassero sull’inclusione di queste donne, piuttosto che sulla richiesta agli uomini di presenziare l’evento. Riteniamo che l’obiettivo in termini di priorità dovrebbe essere quello di coinvolgere ancora più donne, non di includere gli uomini in una pratica che inevitabilmente sottrarrebbe spazi e prese di parola alle donne stesse.
Al di là dei (pochi) uomini cosiddetti “di buona volontà” con cui si hanno delle relazioni politiche e degli scambi, il nostro paese, arretratissimo dal punto di vista di genere, è ancora dominato dal patriarcato, e ciò risulta evidente nella rigidità e limitatezza dei ruoli femminili socialmente e culturalmente auspicati e accettati, nella mercificazione del corpo femminile, nella persistenza di immaginari che oggettificano, nella disparità di trattamento (non solo economico) sul lavoro e nel rifiuto di intraprendere un percorso culturale rivoluzionario. Sembra che per la maggior parte degli uomini tutto questo non costituisca un problema. Prima di includere gli uomini in un qualsiasi discorso femminista, è necessario che le donne prendano coscienza di se stesse e del mondo (patriarcale e, oggi, neoliberista) in cui vivono.
La proposta: elaborazione e ricezione
Un dubbio molto forte rispetto a questa proposta deriva anche dalla sua parzialità rispetto alle pratiche femministe. Il confronto con gli uomini è pratica non di tutte le donne, ma solo di alcune. Perché dunque portare una pratica così particolare e, per molte, potenzialmente disturbante al confronto nazionale, imponendola così a tutte?
Questa proposta poi, viene presentata come frutto di una mediazione, che noi però non abbiamo avvertito. Nelle varie occasioni in cui la proposta è emersa, sia “dal vivo” (l’incontro di Bologna) sia sul web e sui vari social, essa ha conquistato sparuti pareri positivi, parecchi pareri negativi, ma in linea di massima è stata sempre lasciata cadere. Sebbene questo non possa costituire una prova diretta, ci sembra tuttavia un indizio implicito del fatto che, forse, la partecipazione maschile a Paestum non solo non è sentita come una priorità, ma non rappresenta nemmeno un’esigenza per la maggior parte delle donne che saranno presenti.
Dal punto di vista strettamente teorico: relazionalità imposta e maschilismo di ritorno
Esistono luoghi di incontro di “politica mista” in cui iniziare un proficuo discorso sulle relazioni tra i generi e, anche se non ci fossero, si potrebbero trovare innumerevoli momenti per permettere tali scambi. Ci sfugge la necessità di questa pratica inclusiva, dal momento che – come abbiamo già ribadito – i luoghi di pratica politica condivisa ci sono, sono numerosi e si possono costruire come separati da ciò che sono stati Paestum 1976, Paestum 2012 e da ciò che sarà Paestum 2013.
Le richiesta di far partecipare gli uomini ad un evento simbolico come Paestum, il fatto che tale richiesta non sia partita da degli uomini in prima persona ma che sia partita da delle donne che si fanno fautrici di un’inclusione che ci appare come non richiesta, assume a nostro avviso i connotati paradossali di una richiesta di legittimazione, quasi che la relazione con l’altro genere sia elemento essenziale per rendere completo e intero/integro il nostro discorso, la nostra presa di parola.
Inoltre, e strettamente collegato a questo ci sembra necessario sottolineare che gli argomenti proposti nella lettera di invito a Paestum non rappresentano affatto un insieme di tematiche “femminili”, affari “privati” di minoritaria importanza rispetto alla grandezza degli alti e pubblici temi “maschili”. Sono invece temi eminentemente politici di cui prendere consapevolezza in un modo e in un tempo separato rispetto a quella politica che non li considera, e che si misura sempre sul e con il neutro maschile. Considerare tali tematiche – che da un lato non saranno esaustive degli argomenti di discussione, dall’altro ci paiono tematiche legate al vivere (in questo senso allora ritorna il primum vivere di Paestum 2012) – come “femminili”, significa leggere con occhio maschile l’idea di che cosa sia il mondo. Il mondo sono anche le donne. Come potremmo prenderne consapevolezza se non dimostrandocelo direttamente e autonomamente? Perché per “fare mondo” dovremmo avere bisogno di (pochi) uomini chiamati in qualche modo a darci completezza? Peraltro, è evidente il paradosso: verrebbero solo uomini “selezionati”, con i quali, in un modo o nell’altro, c’è già una forma di sintonia, o che comunque avrebbero un guadagno politico ad essere presenti. È davvero questo che serve ora a noi donne?
Conclusione
La generazione cui apparteniamo teme che il separatismo sia una pratica vecchia e passata di moda. Pure la generazione cui non apparteniamo teme che il separatismo sia una pratica vecchia e passata di moda! Per entrambe sono in gioco tanti fattori, ma forse è uno quello che condividono: l’illusione che, includendo gli uomini, si possa in qualche modo “fare di più”, compiere “un passo in avanti”. Noi crediamo che non sia così. Non si tratta di scappare dal conflitto con gli uomini, né di cercare conforto nella piacevolezza dello stare tra donne. Bensì della convinzione che, se la rivoluzione femminista parte da sé, è rafforzando questa possibilità che si muove quel passo in avanti che stiamo cercando.
Si è detto che è necessario assumersi la responsabilità – se vi sono le condizioni – di invitare gli uomini a Paestum, ebbene noi non possiamo assumerci tale responsabilità perché non c’è la convinzione che tale inclusione possa essere proficua e arricchente, ma c’è piuttosto il timore di perdere parte della spinta radicale originaria tipica del discorso fra donne in uno dei (pochi) luoghi in cui esso avviene. La rivoluzione necessaria che parte da noi, e che parte anche quest’anno da Paestum, a nostro avviso, non deve prevedere la partecipazione degli uomini, perché vogliamo che rimanga e che sia ancora un luogo simbolico e uno spazio di relazioni tra donne.
Laura Capuzzo, Ilaria Durigon, Chiara Melloni