Magazine Cultura
Nottingham, 1983. L'Inghilterra è in guerra con l'Argentina per le Isole Falklands, ma negli squallidi sobborghi della cittadina di Robin Hood e Brian Clough in pochi se ne accorgono... perchè la guerra 'vera' è lì: è quella per sopravvivere ogni giorno in un tessuto sociale fatto di miseria e sfruttamento, segno tangibile del potere tatcheriano e della sconfitta del proletariato. Solo un paio di persone non riescono, loro malgrado, a rimanere indifferenti di fronte al conflitto: sono un ragazzino dodicenne, solo, disadattato e deriso dai compagni, e la propria mamma: entrambi hanno perso il capofamiglia, caduto in battaglia a migliaia di chilometri di distanza. E il dolore per questa tragedia rappresenta, simbolicamente, l'insensibilità di una nazione nei confronti del proprio popolo (che non esita, amaramente, a gettare in mare la gloriosa bandiera di San Giorgio, vessillo di una gloria passata che ormai stride impietosamente col difficile presente).
L'Inghilterra in cui 'sopravvive' Shaun (questo il nome del ragazzo) è fatta di grigi palazzi senz'anima, luridi centri commerciali, pomeriggi trascorsi nell'apatia più totale, in uno straordinario spaccato neo-realista che il regista Shane Meadows ci sbatte violentemente in faccia, senza preamboli ma anche con tanta, tanta ironia di fondo, costruendo un film durissimo eppure davvero molto divertente, scanzonato e tragico nello stesso tempo. Un film che senz'altro sarà piaciuto al vecchio 'maestro' Ken Loach, che di sicuro lo avrà visto con invidia... più che altro per la grande abilità di Meadows nel mostrarci, senza paura e senza alcuna indulgenza, quanto possa essere facile in un contesto del genere manipolare la gente 'indignata' (parola purtroppo - ancora - decisamente di moda) e inevitabilmente ingenua, spingendola senza fatica verso derive oltranziste che noi 'piccolo-borghesi' fatichiamo (per finta) a capire.
Shaun, infatti, lenisce la sua disperazione e la sua solitudine frequentando un gruppo di skinheads, finendo ben presto per esserne 'adottato'. Il motivo è evidente: quelle persone, così 'diverse', così 'alternative', così 'fuori dagli schemi' sono anch'esse delle 'mosche bianche' in un mondo che non le vuole e non le capisce, esattamente come il giovane protagonista del film. Attenzione pero! La parola 'skinheads' oggi è segno di violenza, razzismo, xenofobia, rabbia, odio... ma This is England ci dimostra che tutto questo è l'effetto e non la causa di un disagio sociale le cui radici nulla hanno a che vedere con la cultura skinhead. Gli amici di Shaun, infatti, almeno agli inizi non sono affatto violenti. Sono semplicemente 'diversi', e non sono per nulla arrabbiati col 'sistema': ne subiscono, semmai, gli effetti negativi. Sarà l'arrivo di un folle e nevrotico ex-galeotto, fascinoso rappresentante del Male, che destabilizzerà la comitiva indirizzandola verso binari pericolosi, sfruttando il terreno fertile della sottocultura proletaria.
Sotto questo aspetto, This is England ci ricorda neanche troppo velatamente un altro grande film di qualche anno fa: parliamo de Il nastro bianco di Michael Haneke, sconvolgente parabola sulle origini del nazismo. Il messaggio del regista è evidente: esattamente come allora, le condizioni che portano alla genesi di rigurgiti nazionalisti e xenofobi sono sempre le stesse: miseria, ignoranza, frustrazione, impotenza, senso di abbandono da parte delle Istituzioni. This is England, oltre che una splendida pellicola 'politica', è anche uno spietato ritratto della cattiveria e della stupidità umana, che parla allo spettatore nello stesso linguaggio dei bassifondi di Nottingham: poche parole, dure, amare, pronunciate con la pancia prima che con la testa. E' un film di cinque anni fa, miracolosamente (e finalmente!) arrivato anche nelle nostre sale. E ci parla di una vicenda di quasi trent'anni fa, che è ancora tristemente attualissima. Per questo, e per molti altri motivi, vi conviene vederlo al cinema o in dvd. Perchè la Storia è sempre uguale, e guai a non trarne conclusioni.
VOTO: *****
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