Posso dire di essere stato un metallaro, anche se alla mia maniera. Portavo i capelli lunghi fino alle chiappe, mi vestivo quasi completamente di nero o, in alternativa, con delle t-shirt (sempre nere) che portavano i loghi delle mie band preferite, avevo comprato il chiodo e, più per comodità che altro, dato che al posto dei piedi ho due zattere, andavo orgoglioso dei miei anfibi. Ero stato quasi tentato di comprare le New Rock, ma alla lunga ho deciso che la dignità veniva prima della musica. Poi vabbeh, oltre questo diciamo che sgarravo perché ero di indole molto calma, non ho mai marinato la scuola, mai fumato una canna o fatto particolari casini. Leggevo molto, forse troppo, e mi facevo prendere da cartoni animati e fumetti. Non ero proprio il ribelle che ci si aspettava, anche perché ho sempre pensato che la rivoluzione non vada troppo esternata, quando operata all'interno delle cerchie che si vogliono prendere per i fondelli. Se sono stato quindi un metallaro molto borderline, crescendo lo sono diventato ancora di più. La passione per quella musica che mi ha accompagnato durante il mio periodo teen rimane, ma ora ho tagliato i capelli e mi vesto più ammodino. A vedermi adesso, non si direbbe proprio che ascolto quel genere di musica. Perché alla fine è così, si cresce, e ciò che siamo ce lo portiamo dentro. A loro modo, le etichette e le mode sanno pure essere salutari, finché rimangono tali e le si prende con lo spirito giocoso che dovrebbe contraddistinguerle. Purtroppo molti invecchiano, ma solo pochi crescono.
Cheyenne è un ex rockstar ritiratosi dalle scene dopo il suicidio di alcuni suoi ammiratori. Vive giornate tutte uguali, solcate dalla noia e dell'immutabilità. A scuotere la sua esistenza sarà la morte del padre e il venire a sapere di come, nella seconda guerra mondiale, fu umiliato da un gerarca nazista che ha trovato rifugio in America. Partirà quindi per un viaggio on the road per vendicare la memoria del genitore defunto...
Quello sulla crescita è il tema definitivo di ogni storia. D'altronde, ogni corso di storytelling ha come elemento principale delle proprie lezioni un particolare passaggio, conosciuto anche come il cammino dell'eroe, che parte dal poema di Gilgamesh fino a quella che può essere la cronistoria di Spider-man. Un eroe, o più semplicemente, il protagonista di ogni storia, deve affrontare un determinato percorso che lo porterà a maturare e a diventare ciò che sarà alla fine delle proprie avventure. Il tessitele, ad esempio, non è nato col costume, prima c'è stato il morso del ragno radioattivo e poi, dopo la morte dello zio Ben, è diventato lo stupefacente Uomo Ragno; Batman non è nato da solo, prima è stato Bruce Wayne e, dopo un lutto bello grosso e una gita sui monti Appalachi, è diventato la leggenda; Re Artù non è nato sovrano, prima era Semola. Paolo Sorrentino, qui al suo debutto con una produzione americana, molto prima che tutto il vociare intorno a La grande bellezza avesse inizio, cerca di fare un percorso quasi inverso, ma che alla fine porta al medesimo punto. Non ci offre la crescita di un eroe, o di un personaggio, ma sviscera un individuo già plasmato dall'esistenza, quando una maturità deve essere già raggiunta, e gliela fa ritrovare dopo un lungo e inusuale percorso. Cheyenne è una persona che vive nel ricordo di ciò che fu, bloccato da quel tragico fatto che ha segnato la sua carriera e la sua esistenza (un fatto simile successe con la canzone Eat me alive dei Judas Priest, per dire). Ma rimane uno che ha fatto la storia del rock, uno che ha ancora un discreto quantitativo di fan e una vita che il novanta percento della popolazione può solo sognarsi. Quindi perché quell'infelicità tipica dei film sorrentiniani? Fondamentalmente, perché non è cresciuto. Cheyenne è sempre un bambino, ma la sua è una situazione di stallo. Il viaggio sarà l'opportunità per cambiare, per rompere la stasi e far entrare, finalmente, la vera vita nella sua esistenza. E questo viaggio, poi, è accompagnato da immagini bellissime e tanta buona musica. Un filmone, vero? E invece no. Duole dirlo, ma il buon Paolone perde un'occasione con un film che sembrava fatto apposta per piacere a tutti e che, alla fine, dimostra di essere anche gradevole, ma lascia uno strano senso di vuoto. O almeno, l'ha lasciato a me (che molto probabilmente non avrò capito una fava come al mio solito), perché in giro c'è pure chi l'ha molto apprezzato. Eppure mi riesce impossibile, nonostante quello stile patinatissimo che adoro, le immagini di struggente bellezza, i movimenti di macchina che mi danno un godimento quasi sessuale e una musica che bisogna essere capre per non apprezzare. L'unica cosa che però è riuscito a trasmettermi è stato un gradevole senso di leggerezza che, però, mi è sembrato provenire da meriti esterni alla pellicola, perché non tutti i nodi vengono al pettine. C'è una durata forse eccessiva, un sacco di scene slegate fra loro, dei dialoghi pazzeschi (e Sorrentella ha proprio un talento innato come dialoghista, lo aveva già dimostrato con L'amico di famiglia) ma che se ne rimangono nel loro limbo senza nulla ferire. Poi c'è anche la questione dei fan suicidi, accennata all'inizio e poi mai più ripresa, lo stacco fra Irlanda e America che è troppo repentino e quella vendetta finale, così maestosa nella sua messa in scena ma anche così fredda, come il clima che la vede coinvolta. Mi è sembrato che tutto avvenga quasi casualmente e anche la catarsi finale, sempre secondo il mio parere, è stata percepita in maniera quasi casuale. Certo, il personaggio di Sean Penn, un attore che è una garanzia anche nelle mani dei registi più scarsi, mette addosso una strana tenerezza, ma alla lunga stanca. E' un personaggio che è la caricatu
ra di se stesso, ma è anche una personalità così straripante che alla lunga finisce per saziare fastidiosamente come un dolce di fine anno. Un dolce particolarmente saporito, ma le cose troppo saporite in certi caso vanno prese a piccole dosi.I film brutti sono altri, ma qui si sente la puzza di occasione sprecata. Se non altro ha fatto conoscere Eve Hewson, la figlia di Bono, che ha proprio preso dal padre: infatti è proprio bona!
Voto: ★★ ½