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Mi sono imbattuto nei lavori di Thomas Bee la prima volta da Combines a Milano accopaganto da un amico ed è stato subito "amore a prima vista" per le sue opere e soprattutto la sua tecnica nuova che prevede l' utilizzo di dei grattaparcheggi come "tela". Thomas Bee è nato a New York nel 1977, si trasferisce a Milano e si iscrive alla Facoltà di Disegno Industriale del Politecnico di Milano, alternando la residenza tra New York, Parigi, l'Islanda e la Turchia città che influenzano le sue opere e da cui trae ispirazioni; ha vinto il Premio Arte e il Premio Mud Wall nel 2011 e il premio Arte Mondadori 2011 per la grafica. Ho avuto la possibilità di intervistarlo e di apprezzare le sue opere da vicino.
- chi è thomas bee e qual'è il suo background?
- Sono sempre stato impregnato dai profumi dell’Arte fin da quando ero piccolissimo. Mio padre dipingeva grandi tele materiche e quando le lasciava asciugare, mi piaceva sentire l’odore invadente e indiscreto dei colori ad olio. Giorno dopo giorno è diventato l’aria che respiravo. Nel tempo ha fatto esperienza con tanti materiali e tecniche, ma in assoluto, il suo naturale modo di procedere passa per la modellazione del neon: sono vetri soffiati, serve molta pratica per poterli eseguire. Un giorno, da bambino, sentì la voce intensa di un uomo alla radio. Raccontava di come le persone, pur palesando di non avere mai tempo a sufficienza e sebbene paiano essere sempre sopraffatte dalla fretta, finiscano comunque per essere soggiogate dal vuoto della noia. In quel momento, ho realizzato che anche io stavo provando in prima persona la gravida sensazione della noia. Allora, aspettando per ore mia mamma, sprofondato passivamente in una poltrona del teatro spoglio di spettatori, mentre lei faceva le prove, in quei momenti di transizione, davanti al palcoscenico semivuoto, lasciavo che la mente spaziasse. Mi inventavo storie e migravo con il pensiero tra proiezioni indefinite. Da lì in poi è venuto tutto da sé: senza rendermene conto ho intrapreso il mio percorso artistico.
- provieni dalla grande mela, ma hai studiato e lavorato a Milano dove hai avuto al tua prima mostra nello studio di Mattotti, qual'è la tua relazione con la città?
- Milano è un po’ come la gang nipponica che si crede una banda criminale laddove invece è tutta una messinscena di vestiti e capigliature; si autorappresenta come una metropoli senza esserlo. È come entrare in un negozio di caramelle. Mi sento più vicino al modello produttivo americano. È una questione di evoluzione personale.
- il tuo essere artista ti ha portato ad un evoluzione che parte dalla scultura e arriva successivamente alle tue opere con i gratta parcheggi; come è avvenuto questa evoluzione e a quando risale l'idea di utilizzare un gratta parcheggio come tela?
- È semplicemente successo. Ricerco quella che definisco creatività spontanea, dedita alla produzione di nuove soluzioni per adeguare gli oggetti, ma anche le strutture e le azioni sul territorio a uno standard di vita migliore. L’origine della creatività è nella strada, nella secolarizzazione dei comportamenti, nella stratificazione degli usi e dei consumi. Mi affascinano le conseguenze narrative delle citazioni fuori contesto, la “disinterpretazione” di simboli strutturati. La mitologia, la psicologia, la religione, la cultura pop, i pattern comportamentali della gente entro i limiti dei sistemi codificati. E il modo in cui le persone vi si adattano o li rigettano. Tre anni fa un ragazzino americano mi ha spiazzato realizzando un sound design del video di This must be it dei Royskopp, sostituendo i suoni dell’azione scenica alla musica. È stato il migliore regalo di Natale di quell’anno. Spero un giorno di riuscire a sentire ed esprimere quella stessa libertà.
- la tecnica che usi appare molto minuziosa e delicata, non concede errori; come avviene questo processo?
- L’amore di montare e smontare cose a piacimento ce lo portiamo dietro perlomeno dall’infanzia, quando, armati di forbici e colla, componevamo i nostri primi frankensteiniani collage. O quando, con gioia immensa, riuscivamo finalmente a scovare il pezzo mancante di un interminabile puzzle. Per non parlare poi di giochi come il Lego o il Meccano, capaci di stimolare le più complesse fantasie costruttive, soppiantate, una volta cresciuti, dall’esperienza del mobile Ikea. Mi piace raccontare una storia usando una stanza, o un luogo spazialmente definito in cui l’intervento artistico infonde strati interpretativi più profondi. La percepisco come una grande libertà espressiva resa possibile dalla tecnica. Il punto di partenza è un concetto predefinito che si traduce gradualmente in immagine. L’immagine viene rielaborata al computer attraverso una fitta serie di processi grafici. Inizio ad assemblare le schede in base all’ingombro preventivato. Compongo una serie di sagome cartonate ad incastro alternato, quindi, applicandole in sequenza, lavoro sulla superficie dorata dei tagliandi, operando con un graveur.
- apprezzo molto il fatto che le tue opere possano essere composte da un singolo gratta parcheggio, una serie o diversi affiancati a creare un unica tela; La dimensione dell'opera la scegli dalla partenza oppure si espande con la sua realizzazione?
- Il più delle volte parto a cavallo di un’idea che viene stravolta dagli eventi nell’atto del creare. L’anno scorso dovevo realizzare un canguro in tutù e scarpette da ballo che danzava in testa ad un ippopotamo per una campagna pubblicitaria di un’azienda di comunicazioni canadese. Ho iniziato a disegnare il canguro su un Gratta e Sosta. Poi ne ho aggiunti altri tre per creare l’ippopotamo. Quindi ho pensato che l’ippopotamo potesse stare in equilibrio su una gallina e questa avrebbe potuto pattinare sul dorso di una zebra che saltellava in groppa ad un dromedario vestito da batman sulla schiena di un elefante che faceva jogging sopra ad un caribù… e così via fino ad una balena in camicia da notte sulle spalle di una scimmia a bordo di un triciclo. Nel giro di pochi minuti, dall’unico Gratta e Sosta iniziale mi sono ritrovato a gestire un opera composta da 478 tagliandi per il parcheggio…
- Qual'è l'opera più grande che hai realizzato che dimensioni aveva e qual'era il suo soggetto?
- La scorsa primavera ho realizzato un enorme maiale composto da 23.000 palline da golf ed installato abusivamente sul tee all’interno di un green a 18 buche nei pressi di Vallensbæk , in Danimarca. Le palline erano state sottratte ad un’azienda che produce materiali per golfisti e che era la principale responsabile della devastazione ambientale necessaria per la realizzazione del suddetto Golf Club. Una notte, insieme ad una squadra di ambientalisti, mi sono introdotto nei magazzini dell’azienda e ho sostituito le 23.000 palline con dei sassi su cui avevo apposto precedentemente un timbro con l’immagine di un suino e la scritta “Pearls Before Swine” ( Perle ai porci). Recentemente ho visto una di quelle scatole in vendita in una Galleria danese al prezzo di 6.000 corone…
- hai in programma nuovi progetti per il futuro e qualche nuova esposizione/mostra?
- Il 29 settembre inaugurerà a Brescia presso la Galleria Colossi la nuova mostra personale Pop up!, curata da Alberto Mattia Martini. A novembre, poi, presso la Galleria Wrong Way Gallerya Santa Fe, in New Mexico, partirà un’altra mostra personale dal titolo too Bee or not too Bee, curata da Leonard Magnani e Gustavo Climite. Oltre a portare in giro le mostre, sto progettando dei parchi pubblici low cost disegnati e pensati dai bambini. Ma la cosa più inedita è l’idea di realizzare uno show in teatro. L’idea è quella di portare il design su un palcoscenico, facendo capire che il design è storia di umanità e di creatività e non della mente di un singolo in uno studio.
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