“Ti spacco la faccia”. “Cornuto”. “Stronzo”. “Comunista”: è l’Italia dei gentiluomini (e delle gentildonne)

Creato il 24 luglio 2011 da Massimoconsorti @massimoconsorti
Il problema è che se uno da un’occhiata a Openpolitix dell’Espresso, e si rende conto che in Parlamento ci sono 84 politici con guai giudiziari, gli viene difficile pensare che tutte le leggi ad personam siano solo per uno, forse sono per di più. I reati ascrivibili ai rappresentati della Casta sono i soliti: corruzione, concussione, legami con organizzazioni mafiose e perfino qualche vecchia pendenza legata agli anni di piombo. Ovviamente, nel paese della vecchia Hit Parade luttazziana, non poteva mancare la classifica di merito. Allora. Il Pdl è nettamente in testa con 30 deputati e 20 senatori, segue il Pd con 7 deputati e 4 senatori. Poi c’è la Lega che ha 4 deputati e 2 senatori non propriamente con le mani pulite. I “Responsabili” sono 4. Ne hanno 1 a testa l’Api di Rutelli e l’Idv di Di Pietro mentre il Gruppo Misto ne annovera 6, 3 a Montecitorio e 3 a Palazzo Madama. Uno dice, ma come faccio ad avere fiducia in una classe politica nella quale militano 84 rappresentanti del popolo che hanno guai con la giustizia? Bella domanda, la risposta datevela da soli che a noi scappa da ridere. Il fatto è che, ottimista ad oltranza quale reputi di essere, ti dici: “Vabbé, sono solo 84, manco il 10 per cento, ci può stare”. Ma arriva puntuale la cronaca giornaliera che ti riporta saldamente con i piedi per terra. La cazzuta Polverini Renata, che di mestiere fa il presidente della Regione Lazio, invece di prendere la sua Yaris per fare il breve tratto di strada Roma-Rieti e partecipare alla Sagra del peperoncino, chiama la Protezione Civile e si fa mettere a disposizione un elicottero antincendio. A domanda, Polverini Renata risponde: “Io faccio quel che cazzo mi pare e prendo l’elicottero quando cazzo mi pare”. Ora, pur avendo un rispetto ancestrale nei confronti del termine “cazzo” (inteso come organo delegato al piacere), messo in bocca a una donna, per giunta governatore della regione della Capitale, ci appare di una volgarità unica anche se questa classe politica ci ha abituato a ben altre volgarità partendo dalle loro persone, da come appaiono, da come si pongono, da chi si credono di essere. Viene fuori che l’ex sindaco di Sesto San Giovanni, ex presidente della Provincia di Milano, attuale vice-presidente del Consiglio regionale lombardo e capo della segreteria di Pigi Bersani, tal Filippo Penati, ne abbia fatte più di quel Carlo in Francia raccontato dal Faber su testo di Paolo Villaggio. Solo che le azioni di Filippo Penati non sono riconducibili a una canzone ma a una serie di reati che vanno dalla corruzione alla concussione fino al finanziamento illecito per il partito e appropriazione indebita per sé (tante ricche tangenti). E siccome si parla di miliardi e non di bruscolini, la sensazione di trovarsi in un mare magnum di defecazione da dissenteria, raggiunge vette parossistiche. Alfonso Papa, quello che alla Camera ha detto “Per favore pensate ai miei figli, che gli racconto”, sentito in carcere dai pm non ha mica confutato i fatti per i quali è andato in galera, ha semplicemente scaricato tutte le responsabilità su Gigi Bisignani motivando il suo totale asservimento al Grande Manovratore con un “eseguivo direttive” che ci ricorda tanto l’alibi dei massacratori nazisti in fuga dall’Italia alla fine della seconda guerra mondiale.E mica è finita qui. È uscito l’elenco delle regalie di Stato, 2 milioni e 600mila euro destinati alle “spese di rappresentanza” nei collegi elettorali del deputati e dei senatori della Casta di Maggioranza. Scorrendo l’elenco dei beneficiari si scopre che l’Italia non è solo il paese di santi e navigatori, poeti e presunti tali, scrittori schizofrenici e un po' leccaculi che pubblicano a spese dei contribuenti, è anche una grande cloaca dove le bocciofile la fanno da padrone, le conchiglie hanno diritto al loro posto al sole, associazioni sconosciute hanno il ”dovere” di acquistare attrezzature, le chiese di avere un tetto, gli oratori la Play Station, i Centri giovanili l’ultimo Bad Game con cui simulare una strage di coetanei per evitare un affaire Norvegia e le associazioni cattoliche un bel finanziamento per allestire tensostrutture dove andare a pregare e fare propaganda a Silvio (50mila euro per una tensostruttura a noleggio non sono male). Se a tutto questo aggiungiamo i 150 metri quadrati dei ministeri al Nord da arredare e attrezzare, sempre a spese del contribuente, con computer e scrivanie, impiegati e uscieri rigorosamente in camicia verde, il quadro generale si fa chiaro, tendente al trasparente, potremmo dire evanescente fino al surreale. E mentre l’ex addentatore di polpacci di poliziotti viene quasi acclamato presidente del Consiglio (Bobo "Blues" Maroni), l’Italia ricorda con sgomento la prova generale del colpo di Stato messa in atto a Genova 10 anni fa. Lontana dall’essere considerata una ferita chiusa, il G8 di Genova del 2001 è l'emblema ancora oggi dell’abominio di uno Stato democratico che decide di sospendere per tre giorni tutti i diritti politici, civili, sociali e umani fondamento di una nazione evoluta. Quello che accadde allora fu la prova generale di un tentativo di colpo di stato messo in atto da altissimi rappresentanti delle istituzioni che ancora vanno in giro a far danni e a predicare la democrazia (Gianfranco Fini, allora vice-premier, è uno di questi, ma c’era anche l’”inconsapevole” Scajola, il capo della polizia e i suoi ufficiali subalterni che ancora fanno indagini). La violenza cieca con la quale centinaia di giovani vennero massacrati e torturati da poliziotti e carabinieri manganellatori di professione, rappresentò allora una specie di deterrente di Stato contro tutti coloro che, dall’autunno dello stesso anno, avevano minacciato di scendere in piazza per protestare contro le manovre economiche del solito governicchio berlusconiano di mezzeseghe. I poliziotti picchiarono senza ritegno giovani e anziani, medici e infermieri, giornalisti e fotoreporter, mamme e papà preoccupati per la sorte dei  figli e perfino le suore, si, le suore. Cantando “Faccetta nera” e inneggiando a Pinochet entrarono alla Diaz sfasciando tutto e tutti, spaccando indifferentemente computer e teste e completando l’opera a Bolzaneto dove ai feriti aggiunsero altre ferite, stavolta non fisiche. La stessa storia si è ripetuta all’aeroporto Dal Molin di Vicenza, in Sardegna con i pastori, contro i No-Tav in Val di Susa e pure contro i terremotati dell’Aquila davanti a Montecitorio. E meno male che il nostro non è un paese militarizzato dove la democrazia e la libertà di manifestare regnano sovrani all’ombra della Costituzione. Si, l’ombra.

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