Magazine Mondo LGBTQ
L'immagine scelta è volutamente provocatoria, emblema di un paese in cui i matrimoni omossessuali sono stati legalizzati il primo genneio 2007 in seguito a votazione popolare, ma in cui non è avvenuto il salto successivo. Quando io e Di decidemmo di sposarci, la persona per cui lavoravo andò quasi in panico, dicendo che da ora in poi nessuno avrebbe più lavorato con noi. Pensammo fosse un poco esagerata... Poi mi trasferii in questo ridente paese all'avanguardia, dove la libertà individuale è portata talmente all'estremo da permettere a chiunque di fare qualsiasi cosa della propria vita, a patto che non interferisca con quella di altri. Pure le pere ti puoi fare, anche per 40 anni, a costo di non guidare un veicolo, a spese totali del cantone, che ti mette a disposizione un appartamento, ti paga le cure mediche e tutto il necessario per "condurre una vita dignitosa". Fidatevi, è il mio lavoro! Mai nessuno che cerchi di convincere la gente a vivere in modo migliore, la risposta è sempre la stessa: "contento lui/lei". Divago... Ora, ho conosciuto alcune ragazze, lesbiche, tutte sopra i 30, e nessuna di queste persone ha mai detto ad amici, colleghi o parenti di essere lesbica. Lo ritengono un fatto personale, dicendosi altresì perfettamente a loro agio nel condurre una "doppia vita". Soprattutto convinte di aver accettato pienamente la loro omosessualità. La ragione? Perché poi la gente "parla". Mhhh... Parla, cosa vorrà mai dire che la gente parla? Tipo, come quando sento che una mia amica si sposa, oppure ha avuto un figlio? Si, se incontro qualcuno che la conosce, ne "parlo", condivido la notizia. E' male ciò? E' un segreto da custodire gelosamente? O se qualcuno divorzia, non se ne parla forse? Più che dire che poi la gente ne "parla", dovrebbe essere specificato che "ne parla male, mi giudica, non mi accetta..." Anche io ho avuto un periodo, all'inizio, in cui temevo molto la reazione degli altri, soprattutto delle persone a me vicine. Poi però, una volta capito che il mio essere me stessa non solo non arrecava danno ad altri, ma mi rendeva libera di esistere per quello che sono, le paure sono svanite. Queste paure derivavano dalla mia insicurezza. Dopo questi mesi trascorsi qui, mi rendo conto che il Canton Ticino rimane un piccolo paese di provincia, in cui nascondere ed apparire diversi da quello che si è, fingendo di seguire un canone non scritto è rimasto ai tempi del medioevo. Quando chiedevo se ci fosse un posto in cui incontrarsi, che so, un bar, pub, disocteca? "Noooo, sei matta, qui queste cose non ci sono, nessuno si farebbe mai vedere in un posto dichiaratamente per omosessuali!" Ah. E perché? "Perché se poi mi vedono?" Ok, se poi ti vedono? "Beh cosa penserà la gente?" A parte che mi piacerebbe sapere in questo immaginario collettivo chi esattamente rappresenta "la gente", ho spesso sentito dere: "se poi ci incontro un collega?" io rispondo sempre che se due più due fa quattro e il tuo collega è in un bar gay, c'è una buona probabilità che lo sia anche lui, ma mi guardano smepre male; ma a parte questo, che vuoi che pensi?! Che sei gay? Ora, io mi chiedo: fintanto che passeremo la vita a nasconderci, a vergognarci di essere quello che siamo, a fingere (perché di fingere si tratta) di essere altri da chi siamo, come farà "la gente" a non puntare il dito, a non "parlare". Se noi siamo i primissimi a vergognarci di chi o cosa siamo (se non noi stessi, per precisazione), "la gente" non cambierà mai idea! Quando sei ragazzino e ti masturbi, inizialmente ti vergogni, pensi sia sbagliato, di essere un pervertito, o di avere qualche problema. Poi cresci un pochino e scopri che i ragazzi si fanno le seghe. Ohhh... ma le ragazze no. No no no. E quindi se sei una ragazza devi aspettare ancora anni o decenni per scoprire che tutte le tue amiche, tutte quelle che negavano strenuamente, si masturbano. Ma solo se hai la fortuna di incontrare amiche almeno un poco disinibite, altrimenti passerai l'intera esistenza a credere di essere l'unica a farlo, e a sentirti almeno un poco in colpa per questo (grazie sempre al retaggio religioso!) Quindi, se sei gay, e pensi che nessuno intorno a te lo sia, ti vergognerai, lo terrai nascosto, vivendo magari per anni una doppia vita. Se poi sei gay in un paesino come il Ticino, ti diranno che si, quelli là si possono sposare, ma io non sono d'accordo. E tu ti sentirai in colpa. Io non sbandiero la mia gayiezza ai quattro venti, così come non ho mai visto nessun etero andare per le strade a dire "sai che c'è, sono etero", ma se vado a cena da qualcuno con la mia compagna la presento come tale. Non come un'"amica". Insulterei sia me che lei. Implicitamente direi di vergognarmi dei miei sentimenti, che capisco che sono sbagliati e quindi lo nascondo. Non raggiungeremo mai la parità dei diritti fintanto che noi per primi non smetteremo di vergognarci di noi stessi. Ecco perché, per rispondere ai molti che mi hanno fatto questa domanda, alcuni si dicono orgogliosi di essere gay. Intendono orgogliosi di accettarsi, di viversi onestamente, di amare senza vergogna la persona che amano, anche se dello stesso sesso. In Italia le unioni sono ancora un tema scottante, vengono uccisi ragazzi e ragazze, ma perlomeno nella realtà in cui ho vissuto io, chi come me è gay, riesce molto più spesso a non vergognarsi di sé. Ho vissuto una realtà piccola, limitata al centronord, ma qui ci si può sposare, e le botte e gli omicidi ci sono comunque. Non è mai vero che il singolo non può fare o cambiare nulla. Io, ho fatto cambiare idea a più persone, quindi statisticamente, se davvero siamo il 10% dell'umanità, e se ognuno di noi riuscisse a far cambiare idea ad almeno due persone, e di queste due almeno uno facesse cambiare idea ad una sola altra persona... fate voi i conti! Qualcosa cambierebbe. Siamo persone.