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Il terzo Medem è all’incirca lo stesso che conosciamo oggidì. Con Tierra (1996) esprime ancora una volta tutta la sua voglia di raccontare e di fare cinema attraverso un’esasperazione delle componenti filmiche che trasporta la pellicola in un territorio di surreale mitizzazione dove tutto può accadere. Punto centrale nella sua filmografia è lo sdoppiamento della personalità o più in generale la possibilità di risemantizzare un elemento tramite una nuova lettura e un nuovo sguardo dato dalla messa in serie che spesso si rincorre, si supera e si riavvolge. A tal proposito è impossibile non citare Gli amanti del Circolo Polare (1998), lavoro appena successivo a questo e ritenuto probabilmente a ragione il miglior film del regista spagnolo tanto da venire citato in Mr.Nobody (2009) di Jaco Van Dormael.
In Tierra è evidente l’incubazione della poetica medemiana poiché dobbiamo muoverci in una diegesi che si stratifica mano a mano che la narrazione procede e nella quale si palesano i soliti fantasmi di Medem. Si ha un protagonista che perseguitato dal suo doppio (la sua coscienza?) è diviso fra due donne, in più sullo fondo vediamo uno scenario in cui anche la natura si mette al servizio della storia: la terra divide infatti due mondi, quello degli insetti e quello degli umani, mondi pregni, comunque, di inesplicabili misteri tutti riconducibili alla dicotomia definitiva vita/morte.
Essendo però un’opera ancora seminale si avverte una debolezza del racconto smagrito da trovate carine ma non entusiasmanti - d’altronde il filo conduttore di stampo sentimentale è l’inflazione portata ad esempio - e da una caratterizzazione dei personaggi che crea figure dalla singola caratura, e per questo vedremo un soldato che sarà sempre e solo UN uomo in uniforme, una ninfomane che sarà sempre e solo UNA donna aggressiva, un cacciatore scontroso che sarà sempre e solo UNA persona cattiva. La loro delineazione è troppo netta, e seppur inserita in un conteso molto caricaturizzato risulta poco interessante.
Il che è in antitesi con l’auto-moltiplicarsi dell’opera che similmente a Lucía y el sexo (2001) trova di continuo nuovi stimoli dentro se stessa per continuare a essere una storia. Della scarsa amalgama tra gli interpreti e la cornice in cui si muovono restano sprazzi di un buon cinema che lasciano la sensazione di potenzialità inespresse, un po’ il leit-motiv della carriera di Julio Medem.
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