Time
Fino a pochi anni fa, quand’ero particolarmente incazzata col mondo o scoraggiata, ma anche solo semplicemente frustrata dalle avversità io correvo.
Correvo modello criceto, senza pensare a nulla, astraendomi dalla realtà circostante, senza pensare a nulla che alla fatica nelle mie gambe.
Correvo, correvo e sbollivo nella stanchezza tutti i problemi.
Oppure prendevo a cazzotti e calci un sacco da boxe, altro ottimo espediente. Magari visualizzando bene l’artefice (maschile o femminile) di tutti i mali.
Oppure c’era sempre il voo-doo. Al limite.
Adesso no.
Non ce la faccio.
Ho la sensazione di lottare coi mulini a vento, di non farcela più.
Sono inchiodata, immobile come quei bambini che puntano i piedi per un capriccio impossibile e restano inamovibili a ingoiarsi le lacrime in silenzio.
Dovrei pure scrivere, ho delle scadenze impellenti che bussano alla porta. Ma che scrivo? Ho il nulla nel cervello, il vuoto.
Vorrei solo accoccolarmi sul letto a leggere col gatto in grembo, nell’attesa che mi passi il raffreddore.
E mi passi anche tutto il resto, ma è complicato.
Complicato come tutte le cose che stentano a venir fuori, complicato come i problemi di matematica delle medie, quelli sulle vasche da bagno e i rubinetti che perdono.
Complicato come le cose che non hanno soluzione e tu devi solo accettarlo, ma non è facile.
Forse dovrei ricominciare a correre, a lottare.
Forse mi farebbe bene.
Forse domani lo faccio.