“Conquista dello spazio” ’sticazzi!
di Marco Cagnotti
Oggi fa mezzo secolo dal primo volo di Yuri Gagarin. Tutti i blog e i siti divulgazione scientifica sono pieni di celebrazioni della gloriosa epopea della “conquista dello spazio”. E quanto siamo bravi di qua, e la grande avventura di là… e i filmati e le interviste e i ricordi… e “io c’ero e mi ricordo” e “io c’ero ma non mi ricordo” e “io non c’ero ma mi ricordo come se ci fossi stato”… Cheppalle!
L’ho già scritto: “conquista dello spazio” ’sticazzi! Siamo andati giusto fuori dall’atmosfera, tutt’al più spedendo 12 umani fin sulla Luna e alcuni robot nel Sistema Solare. E poi? Poi basta. Lo spazio è tutto il resto là fuori: 200 miliardi di stelle solo nella nostra galassia, 200 miliardi di galassie solo nell’universo visibile.
Va bene ricordare Gagarin e i prodigi della tecnologia e il coraggio dell’individuo e l’ottimismo della volontà e… Però, di grazia, non mi parlate più, mai più, di “conquista dello spazio”.
L’unica vera, straordinaria, eroica conquista è quella della mente. E’ il lavoro lento, umile, invisibile e rinnovato ogni giorno in ogni laboratorio e in ogni centro di ricerca. E’ l’opera di legioni di donne e di uomini sconosciuti, senza un fisico atletico, senza i riflettori puntati addosso, senza applausi e proclami e libri di storia per tramandarne le gesta. E’ la comprensione profonda della regolarità e dell’eleganza dell’universo.
Sotto di me la Terra mi appare dolce e confortevole: qua e là sono sospese soffici nubi, che il sole declinante tinge di rosa; la campagna è attraversata da strade rettilinee che collegano una città all’altra. E’ molto difficile rendersi conto che tutto ciò è solo una piccola parte di un universo estremamente ostile. Ancora più difficile è rendersi conto che l’universo attuale si è sviluppato a partire da condizioni indicibilmente estranee e che sul suo futuro incombe un’estinzione caratterizzata da un gelo infinito o da un calore intollerabile. Quanto più l’universo ci appare comprensibile, tanto più ci appare senza scopo.
Ma se non c’è conforto nei risultati della nostra ricerca, c’è almeno qualche consolazione nella ricerca stessa. Gli uomini e le donne non si accontentano di consolarsi con miti di dei e di giganti o di restringere il loro pensiero alle faccende della vita quotidiana; costruiscono anche telescopi e satelliti e acceleratori, e siedono alla scrivania per ore interminabili nel tentativo di decifrare il senso dei dati che raccolgono. Lo sforzo di capire l’universo è tra le pochissime cose che innalzano la vita umana al di sopra del livello di una farsa, conferendole un po’ della dignità di una tragedia.