Complesso, angosciante, contraddittorio, torbido, sfuggente, provocatorio.
Parole e ancora parole attribuibili a Tiresia (2003) film diretto da Bertrand Bonello, francese che a quanto pare ama andarci giù pesante arrivando perfino a infischiarsene della coerenza del testo per favorirne il messaggio/i di fondo. Vi è subito da dire che sulla completezza di tali messaggi non c’è da metterci la mano sul fuoco poiché le tesi di Bonello si riconducono a sfuocate ipotesi per lo spettatore obbligato a destreggiarsi in un racconto che si spezza a metà per poi ricominciare da capo attraverso un procedimento avvicinabile, almeno formalmente, a quello de L’insaziabile (1999) di Antonia Bird.
Nella prima parte, anticipata da un quarto d’ora tecnicamente impressionante in cui la fanno da padrone delle lente carrellate laterali che riprendono un gran numero di prostitute su uno stradone buio a ridosso di un bosco, assistiamo alla segregazione del transessuale brasiliano Tiresia da parte di un – forse – uomo squilibrato di nome Terranova (Laurent Lucas) in cerca di rose non vere, poiché la copia è quella perfetta. Non vuole una donna, gli va bene qualcosa che le si avvicina, tuttavia in seguito alla mancata assunzione dei giusti ormoni, l’aspetto di Tiresia si fa sempre più mascolino fino a provocare un rifiuto nell’uomo che la acceca con delle forbici per gettarla poi sul ciglio di una strada.
Il tempo che venga giorno e la storia cambia ambientazione; ci troviamo in una chiesa dove un prete, impersonato dallo stesso Lucas, battezza un neonato. Contemporaneamente la figlia muta del factotum trova Tiresia moribonda, la prende con sé e la cura. L’ex trans ora è diventato un uomo (c’è stato proprio un cambio d’attore) che seppur cieco riesce a vedere il futuro.
Perdonate il dilungamento con relativi spoiler sulla trama, ma mi era necessario per iniziare a sezionare la pellicola e a supporre innanzitutto che Tiresia è un film sullo sguardo e di conseguenza anche una storia sulla cecità. La scenografia si accompagna al tema della visione: la prima frazione è estremamente cupa e non solo per gli esterni boschivi ma anche per la prigione di Terranova, spartana e confinata sullo schermo da un alone di buio; l’uomo spia il travestito dal buco della serratura in una forma di coercizione per cui Tiresia è soltanto una “cosa da guardare”, quasi un freak a causa della sua innaturalezza fisica. La seconda parte è raccontata attraverso tonalità fatte di colori chiari e brandelli di luce (ma la componente drammatica non viene meno), e qui Tiresia per merito o per colpa di un martirio che ha potenti rimandi cristiani, acquisisce un dono che le/gli permette di vedere e non solo di essere vista, sebbene agli occhi delle persone questa capacità la faccia vedere sempre e comunque come un mostro.
Ad ogni modo non vi è un tentativo di denuncia sociale. Assolutamente no; il film lavora sull’ astrazione senza affondare il coltello nel tema del “diverso” perché poco sembra importargli. Anche la chiave di lettura sullo sguardo mi appare riduttiva e non sufficiente per dare un’interpretazione globale alla storia. L’enig-ma-gma-tica essenza delle pellicola è di non facile decifrabilità, il che potrebbe essere un limite di chi scrive ma anche di Bonello stesso che ad onta di un talento evidente in linea con la grande scuola francese, immerge la storia di Tiresia in un mare di incertezze.
Ciò che è certo invece è l’operazione coraggiosa e non semplice da accettare di cambiare attore protagonista tra una parte e l’altra del film. Ed è un’azione affiancata ad un similare ribaltamento dei ruoli per Laurent Lucas che nelle vesti di prete non pare essere la stessa persona che prima aveva imprigionato il transessuale.
Tiresia, dunque, prosegue e finisce come un film dal doppio volto al pari dell’essenza uomo-donna del personaggio principale, e come Lucas, al contempo folle maniaco e prete di campagna. Non c’è coerenza narrativa tra questi doppelgänger, e questo è l’aspetto che ad uno spettatore razionale potrebbe pesare insostenibilmente. Mettendo da parte l’aderenza ad una veridicità interna, resta un film affascinante, per una volta, forse, più da vedere che da capire.