Chi ha l’occhio, trova quello che cerca a occhi chiusi.
Italo Calvino
È seduta al Circolo dei Lettori, palazzo d’epoca e cornice prestigiosa, uno dei vanti della città.
Figo, pensa la donna blu.
Blu per via del trittico occhiali smalto e borsa, arrivata in città alla stazione Porta Nuova e persa nel circolo magico della cultura libraria che trapassa in quella cinematografica.
Adesso è qui, ha un libro in mano.
Legge.
La partita è finita da dieci minuti e gli ospiti stanno per lasciare il piccolo impianto. Non li hanno fatti aspettare molto, perché il pubblico non superava le cinquecento persone.
E poi in questura non hanno preoccupazioni: che deve succedere in una partita del Campionato nazionale dilettanti?
La Sestrese non ha nemmeno una vera tifoseria. Ha ospitato lo Spezia, retrocesso per fallimento, e l’incontro è finito uno a uno. Il massimo insulto arrivato dagli spalti è stato «arbitro merda». Adesso i tifosi mangiano panini bevendo birra e, a qualche metro da loro, pochi celerini parlottano in cerchio.
Sopra, il cielo inizia a scurire.
Sta arrivando gente, gli invitati prendono posto, due operatori RAI entrano quando già il presidente sta parlando.
Sul palco – che non è un vero palco, nella sala d’onore del Circolo dei Lettori ci sono molte sedie che guardano a un elegante tavolo dietro cui siedono i relatori, vigile dall’alto lo splendido gigantesco lampadario, che illumina letteralmente e metaforicamente i convenuti – dal tavolone elegante prende la parola il presidente Enrico Castelnuovo.
È la cerimonia di premiazione del premio Calvino 2013, concorso letterario e vetrina per scrittori esordienti che gareggiano con manoscritti inediti.
In pratica, il sogno di 50 milioni di italiani.
Dal palco, dietro il tavolo, in atmosfera sabauda – in sala non vola una mosca, i microfoni sono costretti a un lavoro duro cioè proiettare suoni di parole quasi sottovoce, il presidente sta introducendo il premio.
Lorenzo Bodrato – per tutti soltanto «Lollo» - guarda attraverso il cancello dello sfasciacarrozze. La sciarpa rossoblu nasconde il naso un po’ storto e un cappuccio copre i ricci scuri. Spuntano fuori solo gli occhi, marroni e intelligenti.
– Stanno uscendo,– mormora, quando vede i primi spezzini lasciare lo stadio.
– Andiamo, dài, andiamo, – insiste alle sue spalle un ragazzo con la sciarpa sulla bocca e un cappellino. Altri hanno caschi da moto in testa. Lollo fa un brusco cenno con la mano.
– No, aspettate, porca merda! – ordina. Dietro, qualcuno impreca in silenzio, qualcuno stringe la cinghia, qualcuno agita nel vuoto un bastone.
Il gruppo di spezzini usciti dallo stadio aumenta. Sono venuti con tre pullman e uno era pieno di ultrà.
Sta parlando adesso Rocco Moliterni, giornalista del quotidiano La Stampa, dice che i manoscritti esaminati quest’anno sono 570, molti dei quali hanno un valore letterario notevole. Questi manoscritti sono stati letti da un gruppo di lettura qualificato che ha scelto gli otto finalisti poi sottoposti alla giuria (quest’anno: Irene Bignardi, Maria Teresa Carbone, Matteo Di Gesù, Ernesto Ferrero, Evelina Santangelo).
Statisticamente, chi invia il manoscritto è uomo e vive al centro Nord. Da segnalare il record di opere provenienti dall’estero: venti. Sono opere in lingua italiana di cittadini italiani che se ne sono andati all’estero a cercare di far fruttare i loro talenti. In realtà – dicono dal palco – anche parecchi di coloro che risiedono al centro Nord hanno origini meridionali.
Come dire: anche qui, a un premio letterario, il campione analizzato segue la tendenza: prima da Sud a Nord Italia, poi da Italia a estero, differenziandosi l’emigrazione di un tempo dall’attuale per il grado di qualificazione della manodopera (bassa prima, alta, spesso altissima adesso).
La signora blu ha un sussulto quando vengono ricordati alcuni ex vincitori: il premio Calvino ha lanciato Paola Mastrocola, Susanna Tamaro, ma soprattutto Francesco Piccolo (la signora blu ha adorato La separazione del maschio). Quando sul palco si passano il microfono, lei continua a leggere il libro che ha in grembo.
I bus sono posteggiati nello spiazzo e c’è solo una squadra di sbirri. Lollo lo sa grazie ad Ale, che gli sta a fianco. Ha la faccia coperta da un passamontagna nero che lo fa somigliare al comandante Marcos, quello dei ribelli del Chapas.
– Ancora un attimo, Lo’, ancora un attimo, – dice Ale, – sennò ci finiscono in mezzo quelli che non c’entrano un cazzo!
– Lo so. Dài che lo so –. Lollo stringe forte le sbarre. Il tempo sembra rallentare e inchiodarsi su quel cancello da cui Lollo e gli altri osservano i nemici, che bevendo e cazzeggiando si dirigono ai pullman.
Dietro Lollo c’è Lupo. Ha un casco spagnolo e una sciarpa che nasconde la profonda cicatrice sulla guancia destra. Ferita di guerra, rimediata sei anni prima a Bergamo. Lupo schiuma frenesia. – Oh, ma che cazzo aspettiamo?
Adesso tocca agli otto finalisti: Domenico Dara, Carlo De Rossi, Andrea D'Urso, Marco Magini, Francesco Maino, Stefano Perricone, Simona Rondolini, Carmen Totaro.
Vengono letti stralci delle loro opere, essi assistono – uno a uno chiamati accanto al palco, cioè al tavolo elegante – alla performance attoriale di chi si sussegue nel ruolo di lettore e lettrice con voce a tono, giusta. Mediamente intimiditi – non avvezzi, da scrittori, agli occhi del pubblico, al lampadario che illumina –, ricevono attenzione e applausi.
Ernesto Ferrero è paterno, quasi sacerdotale, quando invita gli esordienti scrittori a non svendersi a chi è pronto per un piatto di lenticchie a «rosicchiare le vostre parole».
Vince Francesco Maino, con Cartongesso, per, citiamo la scheda, la sua natura felicemente ibrida (non è un romanzo né un saggio né un pamphlet), un difficile azzardo che nulla toglie alla sua capacità di coinvolgimento e per la straordinaria potenza inventiva della lingua. Un'invettiva contro il disfacimento del Veneto (e, per sineddoche, dell'intera nazione) e la sua trasformazione in un non-luogo di consumi banali, di vite perse in una generale omologazione, di cui è emblema la corruzione della parola. Il libro è un bilancio insieme personale e collettivo, nel quale la disperazione di un individuo e il suo intenso e inquieto disagio diventano una foto di gruppo antropologicamente esatta ed espressivamente efficace.
Poi cioccolatini, ma la donna blu tiene alla linea e se ne va, aggiustandosi i capelli biondi e ammiccando ai gentili inservienti che la accompagnano con gli occhi all’uscita.
Ha riposto il libro che leggeva, continuerà più tardi, tra un riposo e l’altro dal giro per la città a caccia di cultura. L’autore è Riccardo Cazzaniga, il titolo è A viso coperto, la casa editrice è Einaudi Stile Libero, quanto letto con voi sono incipit e parte del primo capitolo.
Il libro è vincitore del premio Calvino 2012.