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Detta così la sinossi di To the wonder sembra quella di un normale film su un menage a trois, al massimo un melodramma lacrimevole che può sconfinare nella classica rimpatriata tra trombamici.
E invece no.
Cerchiamo di dare un giudizio critico equilibrato e distaccato.
E allora possiamo affermare che To the wonder "è una cagata pazzesca!"( cit.).
Applausi.
Anzi 92 minuti di appalusi.
Candidato da subito ad essere uno dei miei scult dell'anno, il film di Malick, che dopo il successo a sorpresa di The tree of life è stato colto da insopprimibile ansia creativa alla stessa stregua di un Allen qualunque, è un qualcosa tra le più insopportabili viste in questi ultimi anni.
Se in The tree of life si parlava di massimi sistemi e aveva un senso paragonare la cosmogonia di Malick a quella di Kubrick, da lui ribaltata, To the wonder sembra la caricatura di un film, costruito con la stessa tecnica del precedente ma senza affrontare i grandi temi dell'altro.
Qui al massimo si parla di minimi comuni denominatori, di storielle d'amore di una banalità infinita infiocchettate però come se fossero storie larger than life.
Una voce fuori campo anticipa come il migliore degli stopper pallonari tutto quello che sta succedendo rendendo praticamente pleonastici i dialoghi che nel loro anelito alla poesia varcano spesso la soglia del ridicolo involontario.
Ben Affleck dopo Argo ridiventa il solito quarto di bue inespressivo mentre Olga Kurylenko gioca a fare l'attrice con esiti tremendi, quasi raggiunti anche dall'apparizione della nostrana Romina Mondello nei panni di una specie di invasata senza requie.
La Kurylenko invece di stare davanti a una macchina da presa sembra che stia davanti all'obiettivo di un fotografo di moda per come ammicca, fa le mossette, cerca lo scatto migliore in una gamma di espressioni che va dall'attonito allo sbarazzino senza passare dal via.
Simpatica come un gatto che ti affonda le unghie nei marroni, quasi vorresti che se la ingroppasse il primo serial killer di passaggio per far terminare questa tortura.
Si, tortura è il termine giusto per questa lenta agonia che sfiora le due ore e che cerca di elevarsi al rango di cinema d'autore non adatto alla vulgata cinematografica.
To the wonder mi è sembrato uno scarabocchio informe modellato sul cinema dell'incomunicabilità di Antonioni ma il maestro ferrarese era troppi universi cinematografici avanti rispetto al regista americano.
L'impressione è che Malick, una volta fatto il colpo gobbo con The tree of life abbia voluto ritentare la carta del successo con un film costruito con la stessa tecnica: immagini stile National Geographic, una forma di narrazione non lineare , vari personaggi in cerca di qualcosa all'interno della loro vita , monologhi interiori ( qui in quattro lingue, inglese , francese, italiano e spagnolo..sic!) e un trituramento perseverato di zebedei tale da farci un granella finissima, una specie di nocciolato testicolare.
Se Bardem con la sua choma alla Don Buro di vanziniana memoria può avere un futuro come testimonial di lacche, il film di Malick può avere successo nel campo dei sedativi o dei sonniferi in genere.
Funziona, garantito!
La cosa grave è che questo To The wonder arriva a farmi rileggere in negativo anche il precedente The tree of life che alla sua uscita avevo salutato con particolare favore.
Mi sono sentito preso per il culo da Malick e dalla sua merda d'autore.
E la merda d'autore puzza molto di più di quella normale,
( VOTO : 2 / 10 )
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