A Venezia 69 l’attesa per To the Wonder dello sfuggente (e assente al Lido) Terrence Malick era alta. Tanto alta quanto miseramente delusa.
Infatti siamo di fronte ad un The Tree of Life che zooma sull’amore. Ma il frutto raccolto è sterile, infecondo. Peccato, perché all’inizio il film piace e coinvolge, pur ri-proponendo gli stessi stilemi del film vincitore due anni fa a Cannes. Poi si perde per strada e in frasi fatte che rasentano il ridicolo e il comico (qua e là in sala è percepibile qualche risatina soffocata o commento sarcastico), oltre che il non sense e l’incomprensibilità (vedi “Io sono l’esperimento di me stessa”, “L’amore che ci ama”, “Una valanga di tenerezza”). Il materiale si esaurisce troppo presto, tanto che, tra le altre cose, risulta parzialmente inutile il personaggio del prete con dubbi di fede (interpretato da Bardem). Su 2 ore di film, To the Wonder ha almeno un’ora di aria fritta. In confronto, The Tree of Life quantomeno aveva una pretesa d’esistere prepotente e lussuriosa. Qui non c’è niente di niente. L’immagine veicolo di emozione, più che di racconto, si fa impotente. Tanto che stancano quelle “valanghe” di poesia che dovrebbero essere supportate dalla solita (bella) fotografia controsole tra gli alberi, i telai delle finestre, le mani che giocano a schivare i raggi lucenti.
Tra le tante cose discutibili, spiccano il finale da spot dell’8 per mille alla Chiesa Cattolica, inserimenti da clip pubblicitario alla Chanel numero 8, la saltellante protagonista che si crede la vispa Teresa che va sull’erbetta…
Una lettera d’amore e all’amore finita nel cestino.
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