Era nato in una strada vicino a quella del Prini, in una delle solite case di Medusa, un tempo tutte abitate da pescatori e marinai, e che recentemente, hanno subito tante trasformazioni. Di tali case, così semplici e belle, che sembra mantengano il silenzioso sospiro delle mogli fedelmente in attesa, ancora ne esistono, specie nelle strade più umili e distanti dalla spiaggia. Sono case di esile statura, di un solo piano, oltre quello terreno; la facciata è tinta di un giallo che sembra abbia un velo di rimpianto, uguale alle foglie dei platani quando stanno per cadere, ed è liscia, senza alcun rilievo, vi è solo disegnato lo stretto rettangolo della porta, tinta di un colore seppia appena stemperato, poi, a sinistra di chi guarda, la finestrella del salotto buono, protetta da ua grata a larghe maglie, di solito grigia e polverosa. Sopra, in corrispondenza del piano superiore, le due brevi finestre delle camere da letto.
[...] Ma queste case, costruite alla fine dell'ottocento, quando il terreno a Medusa non costava nulla, ebbero una grande felicità, cioè il girdino, chiamato familiarmente "l'orto". E questo lungo spazio dietro la casa fu, e in parte è ancora, la gioia di tutti, abbandono per i ragazzi, ristoro per le grosse faccende casalinghe, più franchi conversari con le vicine, e qualche volta, al di là dei bassi muri, scambio di messaggi amorosi. E sempre una pergola, un fico, un ciliegio, l'umido rettangolo delle insalate, richiamano la benevolenza della natura.
(Mario Tobino, Il clandestino, pag. 204 e 205 - Arnoldo Mondadori Editore, 1962)