Magazine Informazione regionale
Sembra passata un'era dal tempo in cui
quotidianamente i giornali erano invasi da intercettazioni
telefoniche. Ed è appena un anno fa. Pochissimi commentatori hanno
avvertito, ai tempi di quelle scorrerie, il pericolo che non sarebbe
finita con la messa in archivio di Berlusconi e dei suoi amici di
avventura. Gran parte dei pochi erano politicamente interessati ed
erano forse minoranza quanti lo facevano per timore che nel gioco
della politica entrassero soggetti, come alcuni pm e/o loro
collaboratori, che non hanno alcuna titolarità. “Ci dobbiamo
render conto che questo modo di fare interessa oggi Berlusconi” era
l'avvertimento “ma domani interesserà altri”.
Il pensiero unico – e comunque
prevalente – era che la sconfitta del nemico valeva uno strappo
alla democrazia, a quella bestiaccia che impone i cambi di governo
attraverso il voto degli elettori e non i sospetti di reato, magari
conditi di scene piccanti viste dal buco della serratura. Chi, come
me, ha cercato di sottrarsi a questa unicità di ispirazione si è
attirato su questo blog la critica di filo-berlusconismo e in altri
blog accuse e diffamazioni variamente articolate. Soprattutto quando
riflettevo sulla necessità che le intercettazioni restassero
riservate e, se proprio dovevano finire sui giornali, fossero
preventivamente purgate delle parti che niente a che fare avevano con
i reati. Qualcuno ricorderà le bestialità circolanti all'epoca:
“Voglio essere intercettato” et similia.
Capita ora quel che era immaginabile
capitasse, dimesso(si) Berlusconi. O nessuno lo intercetta più o se
lo si fa, le sue conversazioni non appaiono più sulla stampa. Adesso
altri è nel mirino: niente meno che il presidente della Repubblica
il quale, ovviamente e giustamente, invoca la regolamentazione delle
intercettazioni e della loro diffusione. Confesso che ho per questo
“scandalo” odierno lo stesso interesse che ho avuto nel passato
per le paginate e paginate di colloqui carpiti ai tanti, e
bipartisan, politici: nessuno. Mi interesserebbe, se mai se ne
venisse a capo, sapere come e perché documenti di tanta importanza
siano passati – oggi come nel passato – dall'ufficio di un
pubblico ministero alle scrivanie dei cronisti giudiziari. I quali –
non vorrei essere frainteso – fanno il loro mestiere pubblicando
quanto arriva, più o meno clandestinamente, a loro conoscenza, senza
chiedersi se davvero stanno partecipando, come si dice, al gioco al
massacro del presidente del Consiglio, fortemente voluto da quello
della Repubblica.