Pochi giorni a Tokyo e una breve caccia alla scodella di noodles in brodo migliore. Con l’aiuto di un esperto.
Una scodella di ramen è un piccolo universo, con la vita dal mare, le montagne, la terra. Tutto esiste in perfetta armonia. L’armonia è essenziale. E quello che tiene tutto assieme è il brodo. Il brodo dà vita al ramen
(dal film, The Ramen girl - traduzione mia: non proprio una citazione alta, ma perfetta)
Il meraviglioso shoyu chashu wantonde ramen di Katsuya, Meguro. E’ il ramen perfetto?
(foto di Patrick Colgan, 2014)
Il ramen è una cosa seria. I tagliolini o noodles di frumento in brodo sono un piatto di origine cinese, ma il Giappone lo ha fatto suo. Tanto che ogni regione lo fa col proprio stile e col proprio brodo e ogni ristorante ha i suoi segreti. Il ramen è diventato una cosa importante per molte persone, fino a diventare una passione, per alcuni un’ossessione, favorita anche dal fatto che molti ristoranti di ramen sono aperti fino a molto tardi (3-4 di mattina) e in alcuni casi a orario continuato. E’ così che per gli uomini (le donne raramente entrano sole) è diventato il cibo del conforto, quello che conclude una serata magari dopo aver alzato il gomito con i colleghi, è quello da ‘regalarsi’ quando si vuole fare uno spuntino. Ed è un mondo da scoprire, che riserva continuamente sorprese. Così si moltiplicano programmi tv, club, blog in giapponese e in inglese: per esempio Ramen otaku, Ramenate! o Ramen Adventures. Il sushi, per dire, non ha lo stesso tipo di devozione.
Mini guida al ramen
Come distinzione base – col rischio di semplificare troppo – ci sono almeno quattro tipi di brodo:
- shio (sale), spesso con combinazione di brodo animale e vegetale dal colore pallido e giallognolo
- shoyu (a base di soia), spesso con combinazione di brodo animale e vegetale, dal colore più intenso e tendente al marrone
- tonkotsu preparato con ossa di maiale bollite molto a lungo, è tipico del Kyushu e in particolare della zona di Fukuoka/Hakata, ha un colore biancastro e opaco
- misoramen a base di miso (soia fermentata) spesso con brodo animale, ha un sapore più deciso ed è tipico dell’Hokkaido
Una variante popolarissima negli ultimi tempi è quella tsukemen: per mantenere i tagliolini duri vengono serviti a parte e ogni boccone viene intinto nel brodo. Poi, sopra la ciotola si possono mettere altre cose: carne di maiale (chashu), uovo (tamago), porri (negi) e altro. Per approfondire, wikipedia ha una pagina sul Ramen fatta piuttosto bene.
dal film Tampopo
Tonchin – Ikebukuro
Appena arrivato a Tokyo, decido che voglio togliermi la voglia di ramen accumulata in Italia: cerco subito il ristorante più vicino all’albergo, a Ikebukuro. Scelgo Tonchin, honten (ristorante originale) di una piccola catena molto popolare in città, dove si formano lunghe code negli orari di punta. Piccolo inciso, viste le dimensioni di Tokyo quasi tutti i ristoranti di successo hanno più sedi e in genere è un segno positivo. Tonchin, lo dice anche il nome, è specializzato in tonkotsu. E’ uno di quei posti in cui – per velocizzare il processo – si ordina e si paga a una macchinetta automatica all’ingresso, poi si consegna il bigliettino al banco. Ci sono le foto di tutti i piatti, ma piccole, e il mio giapponese non è sufficientemente buono per leggere cosa c’è scritto: riesco a leggere solo misoramen e lo scelgo per evitare di trovarmi tagliolini ricoperti, che ne so, di soia andata a male (si chiama natto, ha un odore sgradevole, è collosa e i giapponesi ne vanno matti, la mangiano anche a colazione e non escludo la mettano pure sul ramen).
Il misoramen di Tonchin, era tardi e avevo solo il telefonoQundi le foto non sono il massimo
Sulla destra la macchina per le ordinazioni, in vetrina l’orario continuato:
dalle 11 alle 4 di mattina: che serietà (ristoratori italiani, perché da noi no?)
Accanto a me è seduto un uomo che ha ordinato tsukemen, vale a dire con la pasta servita a parte. Siamo in pochi nel ristorante, ma completamente dedicati alla nostra scodella fumante, concentrati sui gesti e sul sapore. Per un attimo dimentico anche i suoni, che in un ristorante di ramen fanno parte dell’esperienza: il risucchio rumoroso è fondamentale per raffreddare i noodles bollenti ed è segno di apprezzamento. I ristoranti sono rumorosissimi, negli orari di punta. Ma io non sento nulla, sono concentrato sui sapori forti, che mi fanno lacrimare gli occhi e mi solleticano le narici. Si inizia dal brodo, col cucchiaio, poi si comincia con la pasta. I tagliolini qui sono leggermente arricciati, ondulati: è lo stile di Tokyo e l’idea è che raccolgano meglio il brodo. E’ buono, buonissimo, anche se non ho ancora gli strumenti per capire quanto: ma questo sapore mi inebria e riporta alla mente in una sequenza tutti i viaggi in Giappone, tutti i ramen che ho mangiato, il sapore si collega con la memoria: ad Hakata, a Sapporo, a Takayama. Forse sono questi pensieri a rallentarmi, o forse sono solo uno straniero un po’ impacciato quando si tratta di alternare le bacchette e il cucchiaio. Ma l’uomo che è accanto a me finisce la sua ciotola che io non sono nemmeno a metà, senza lasciare un goccio di brodo. Il mangiatore di ramen si distingue anche dalla velocità.
Indirizzo: Tokyo, Toshima-ku, Minami Ikebukuro 2-26-2
sito: http://tonchin.foodex.ne.jp/index.html - Un’altro post con foto e video: Tokyo belly (in inglese)Hakata Tenjin – Shinjuku
Segui il porcello! A Tokyo questo potrebbe essere un buon consiglio per un appassionato di ramen: la scodella di noodles meno costosa della città (500 yen, tre euro!) è infatti quella di Hakata Tenjin che ha, come simbolo, proprio un maiale paffuto e sorridente con una ciotola in mano (buffo, ma con quell’aspetto un po’ paradossale che si tratterebbe di cannibalismo per il povero animale). La catena è diffusa in tutta la città ed è riconoscibilissima anche per i tendoni di plastica che ricreano una situazione nello stile di Fukuoka – Hakata, città del Kyushu, nel sud del giappone, famosa per il suo ramen e per la miriade di microristoranti e baracchine che servono ramen per strada, con i tavolini all’interno di verande di plastica trasparente. Ramen e hakata è un po’ come dire pizza e Napoli.
Hakata tenjin a Shinjuku, Tokyo
Troppo buio e macchina fotografica scarica, quindi ricorro a Flickr
Tonkotsu ramen – hakata tenjin di shinjuku
(foto di Alvin Law, da Flickr cc – attribution non commercial, click per andare sul profilo)
A Shinjuku non ci si può sbagliare: dall’uscita est della stazione si prende per kabuki-cho e ci si imbatte in questo tendone di plastica, sempre pieno a tutte le ore del giorno e della notte di uomini col naso infilato nel brodo. Io qui avevo già mangiato, senza farci troppa attenzione. Ma Paola di Scusateiovado (è un’appassionata, è stata pure al museo del ramen) me ne ha parlato con tanta passione che sono tornato, anche se non nel suo punto preferito (a Shibuya). Qui ci si siede al banco, fianco a fianco con gli altri. L’odore del tonkotsu, forte e pervasivo, è intenso e ogni tanto si viene inondati dai fumi del bancone. Seduti su sgabelli, al banco, si va dritti alla ciotola, che arriva, con i tagliolini, la carne, alghe e porri che galleggiano su un brodo bianco come il latte. Si va dritti al sapore, che non si scorda. Il tonkotsu ha dalla sua che probabilmente non può non piacere: è un brodo cremoso, dal sapore grasso e pieno. E come si sa, ciò che è grasso in genere è molto buono. Ottimo e dal prezzo imbattibile, è una sicurezza. Ma è tutto troppo semplice, non è questo il Graal del ramen: la ricerca non è ancora finita.
Indirizzo: questo non è forse un posto da andare a cercare, ma se ne incontri uno in giro per Tokyo è una sicurezza.
Link: Hakata tenjin su Ramen Otaku (in inglese)
Katsuya – Meguro
“Maestro, prima il brodo o i noodle?”
“Per prima cosa, guarda la scodella”
(dal film Tampopo)
Shinji Nohara – Tokyo fixer
Comincio a pensare che da solo non troverò mai il ramen perfetto. E se lo troverò non me ne accorgerò: le sottigliezze sono comprensibili solo agli iniziati. Perché le differenze sono nel tipo di brodo e nella sua composizione, nei tagliolini (curvi, lisci, duri, più morbidi), nel modo in cui viene servito. Cose che vanno chieste, ordinate, e che spesso non sono nemmeno nel menù. Il ramen richiede un’iniziazione.
Jo bisogno di un aiuto e mi rivolgo a Shinji Nohara, più noto come Tokyo fixer (anche su Facebook), guida enogastronomica e chiave ai segreti culinari di Tokyo per grandi chef e giornalisti. E’ richiestissimo, ma riusciamo a incontrarci e promette di portarmi nel suo ristorante di ramen preferito. Ci vedremo alle 11, per arrivare prima che si creino le file.
Prendiamo il bus. E’ una rarità, a Tokyo, dove si va sempre in metro ed è bello vedere la città lentamente e dai finestrini, per una volta. Arriviamo a Meguro, un quartiere che nelle guide spesso nemmeno c’è. Il ristorante si chiama Katsuya e dall’esterno sembra talmente anonimo e spartano che mi viene il dubbio che Shinji-san voglia prendermi in giro.
Un cuoco viene a prendere l’ordinazione al tavolo e lascio fare Shinji, che mi spiega: “Non mi piacciono i ristoranti con la macchinetta per le ordinazioni all’ingresso, tengono il cliente a distanza”.
In Giappone i ristoranti in genere fanno una sola cosa, e molto bene: solo sushi, solo ramen ecc. Ma in questi ultimi in genere si può avere anche riso o riso fritto e gyoza, vale a dire i ravioli al vapore che conosciamo dai ristoranti cinesi. Shinji li ha ordinati in due versioni yude gyoza (bolliti) e yaki gioza (alla piastra).
I due tipi di gyoza (ravioli di carne) da Katsuya
(foto di Patrick Colgan, 2014)
Questi gyoza sembrano, come aspetto, quelli del ristorante cinese. Ma l’aspetto inganna. La pasta è di una diversa consistenza. Più dura, col piacevole bruciacchiato dei ravioli alla piastra, morbida, ma non sfatta quella dei ravioli bolliti. E la carne al suo interno è saporita e consistente e riempie perfettamente la pasta.
“Questo posto mi piace perché vengono preparati ogni giorno, così come i ramen, non vengono utilizzati noodle industriali come in molti ristoranti. E anche i wonton vengono preparati uno a uno ogni giorno”
- E i wonton cosa sono?
“Vedrai”
Abbiamo appena finito i due piatti di ravioli che arriva una ciotola di ramen fumante. A differenza dei piatti precedenti c’è una cura estrema nella composizione, perfetta. Certo, aiuta anche il brodo shoyu, terso e leggero (in stile shina soba, molto semplice), che aiuta a vedere in trasparenza, ma questa è una scodella splendida anche solo da osservare.
Il ramen di Katsuya, Meguro
(foto di Patrick Colgan 2004)
Shinji-san mi spiega come leggerla: la carne, chashu è arrostita sul momento e messa alla fine, non messa prima dentro il brodo, con l’effetto di bollirla, o fatta alla piastra come in altri ristoranti. I ravioli che galleggiano sono invece i wonton, che sono una delle specialità della casa, preparati a mano ogni giorno. Il brodo è leggero, semplice, a suo modo delicato, ma con un sapore definito. I noodle sono al dente. Ma è proprio la carne a spiccare: è la migliore che abbia mai assaggiato in una ciotola di ramen: non tende a sfaldarsi, non è inzuppata di brodo.
“La chiave è il brodo – dice Shinji – il brodo però… deve spiegarlo il cuoco, non può nessun altro”. In quel momento il fondatore di Katsuya non è presente, così lo chiamiamo al telefono.
Ci spiega che il ramen ogggi è migliore che in passato, un po’ come il vino e non c’è da essere nostalgici: “Ho aperto 25 anni fa – spiega – e un tempo non c’era questa competizione, questa attenzione alla qualità. Oggi usiamo ingredienti migliori”. Il segreto del ramen è nel brodo, ogni ristorante ha il suo, che va tenuto caldo tutto il giorno alla stessa temperatura (ed è anche per questo che chi fa ramen fa solo ramen). I paragoni non sono finiti: come lo champagne che nasce dall’unione di diversi vini, il brodo è un delicato equilibrio fra più componenti. Qui, a Katsuya, alla base di salsa di soia vengono aggiunti brodo di carne, brodo vegetale e brodo di pesce. E per ottenere il giusto equilibrio le propozioni vengono continuamente aggiustate. Il lavoro non ha mai fine anche perché il brodo di pesce va rifatto anche tre, quattro volte al giorno.
Katsuya, Meguro – anonimo all’esterno
E’ questo il ramen perfetto? Forse, ma ci sono così tanti posti da scoprire a Tokyo che anche considerando quelli che ho provato in passato non ho nemmeno scalfito la superficie di questa città incredibile. Per questa volta mi fermo qui, ma ho appena iniziato.
Una regola per individuare i ristoranti che vale la pena provare e scoprirne di nuovi però c’è. Me la rivela un’amica: “Se vedi la coda fuori da un ristorante, mettiti in fila anche tu”.
Indirizzo: a Meguro, non troppo lontano dalla stazione Fudo-Mae. Questa la mappa (in bocca al lupo)