Ashita no Jo, Giappone, 2011, 131 min.
Altro blockbuster e altro adattamento da manga (nonché anime), ci troviamo questa volta di fronte ad uno dei mostri sacri dell’immaginario popolare giapponese; in Italia è conosciuto come Rocky Joe ma il titolo originale è Ashita no Jo (Joe del domani) ed è stato partorito nel 1968 dalla mente di Kajiwara Ikki per le illustrazioni di Chiba Tetsuya e trasposto in un anime di altrettanto successo da Dezaki Osamu nel 1970. Il personaggio è stato sin da subito, ed è ancora, amatissimo in Giappone. A questo proposito non posso non citare un aneddoto che vi permetta di immaginare le dimensione del fenomeno (e l’aria che si respirava in quegli anni): in seguito alla morte di uno dei personaggi principali della storia, si tenne in suo onore un vero funerale, organizzato da quel geniaccio di Terayama Shuji (figura fondamentale dello sperimentalismo giapponese negli anni 60-70), che allestì un vero ring sul quale un prete buddhista condusse la cerimonia. Si può dire che la figura di Yabuki Joe, orfano ribelle dall’inesauribile voglia di vivere, ha rappresentato nel Giappone sulla via dell’industrializzazione la forza di volontà e la fatica dell’uomo delle classi meno agiate per sopravvivere ed emergere.
Si sarà capita quindi l’importanza del personaggio nella cultura popolare nipponica e il peso sulle spalle di chi ha dovuto adattarlo dev’essere stato gravoso. Nel film (dove è interpretato da quella simpatica canaglia di Yamashita Tomohisa) lo troviamo che vive alla giornata nei bassifondi di Tokyo tra piccoli furti e risse per la strada. Sarà durante una di queste che incrocerà il suo futuro allenatore Danpei (l’onnipresente Kagawa Teruyuki) che vede in lui le capacità del campione. Joe finisce però in galera in seguito a questo incidente e non sembra nutrire alcun interesse per la boxe nonostante Danpei gli continui ad inviare cartoline sulle quali spiega al giovane i rudimenti dello sport. La spinta ad intraprenderlo gli arriva quando si batte in prigione con un boxeur professionista, Rikiishi Toru (Iseya Yusuke): l’incontro sancirà l’inizio di una rivalità infinita e i due faranno di tutto per ritrovarsi sul ring una volta liberi. Uscito di prigione Joe inizia ad allenarsi nella scalcinata palestra di Danpei, cominciando così una carriera folgorante, con uno stile di pugilato personalissimo (e altamente inverosimile a dire il vero) che lo porterà all’inevitabile scontro finale con il nemico di sempre Rikiishi, segnando il destini di entrambi. Nonostante i potenziali sottotesti di cui era ricca l’opera originale, qui i bassifondi, con la loro variopinta umanità, rimangono un contesto al limite della caricatura, senza alcun vero approfondimento, buono solo per fare il tifo a Joe. Al contrario di quest’ultimo Rikiishi è sponsorizzato da una ricca famiglia amante della boxe di cui fa parte anche Yoko (Karina), personaggio importante in quanto mostrerà un forte risentimento per Joe e per tutti quelli che vivono nei bassifondi, tanto da pianificare la distruzione di questi ultimi per far posto ad un moderno centro sportivo. Le ragioni del suo rancore però sono poco approfondite, così come tutta la sua vicenda rimane poco chiara e troppo staccata dalla storia principale per appassionare ed elevarla a qualcosa di più che un semplice e abbastanza inutile diversivo dalla rivalità tra Joe e Rikiishi. Lo stesso dicasi per gli altri personaggi di contorno, dall’allenatore Danpei allo yakuza che fa da spalla comica, tutti privi di una caratterizzazione adeguata.Certo, è di un blockbuster che stiamo parlando e non di un film a tematica sociale, rimane però il fatto che Sori punti molto sull’emotività degli spettatori, non risparmiando certo i toni melodrammatici quando c’è da evidenziare qualche svolta della storia, seppur alternandoli con toni più leggeri e ironici nelle fasi meno tese. Il regista non evita inoltre di cadere in tutti quegli stereotipi tipici della parabola sportiva di riscatto e redenzione che porteranno Joe dallo slum alla ribalta televisiva. Ne risulta un film comunque troppo lungo (perché i blockbuster giapponesi devo sfondare sempre il muro delle due ore?), di certo non pesante, ma che procede a ritmo alternato e nel quale il coinvolgimento dello spettatore è minato da una sceneggiatura troppo piatta e meccanica.
L’aspetto probabilmente più riuscito della pellicola è lo sviluppo della rivalità tra Joe e Rikiishi, in un crescendo ossessivo che ricorda un po’ quello del bellissimo I duellanti di Ridley Scott, nel quale i due sfidanti sembrano attratti l’uno all’altro inevitabilmente, legati più che da un semplice desiderio di vendetta o riscatto, da una visione della vita simile che li rende uguali e opposti al tempo stesso. Nonostante i due vadino avanti con le proprie carriere – appartengono a due categorie differenti – il loro pensiero ultimo rimane sempre quello di ritrovarsi un giorno a combattere contro, a costo dei molti sacrifici che saranno necessari per arrivare a ciò. La figura di Rikiishi, in particolare, è quella tratteggiata meglio, grazie anche alla dolorosa intensità donatagli dal bravo Iseya Yusuke (Sukiyaki Western Django, Kyashan, Ningen Shikkaku) il quale dimostra di aver fatto un lavoro fisico per il film abbastanza inusuale per il cinema giapponese. Yamashita dal canto suo è troppo pulitino per un personaggio come quello di Joe e la sua faccia da pop star non lo scagiona, ma non si può dire che non abbia provato a calarsi nel ruolo. La sua interpretazione, pur meno convincente rispetto a quella di Iseya, rimane accettabile se paragonata ad altre performance di suoi colleghi canterini (vedi recensione precedente).Di buono c’è sicuramente tutta la parte tecnica; fotografia slavata e colonna sonora jazz richiamano perfettamente gli anni 60, ma a sbalordire sono la fedeltà alle location e al design dei personaggi che rasentano la perfezione e non potranno non compiacere i numerosi fan. Sori dirige col pilota automatico tipico dei film commerciali, ma nelle scene prettamente pugilistiche, lasciando da parte la verosimiglianza delle tecniche usate (il triplo contro pugno è qualcosa di squisitamente folle e irreale), è libero di sbizzarrirsi e tra camera a mano, super slowmo e freeze frame i combattimenti risultato girati con dinamismo ed inventiva.
In definitiva Ashita no Joe si rivela esattamente per ciò che era facile aspettarsi: un prodotto commerciale confezionato professionalmente nel quale la soluzione o la trovata usata è sempre la più scontata e la più accomodante nei confronti dello spettatore, così che alla fine rimane poco o nulla di quello che si è visto. Probabilmente quando si cerca di adattare personaggi così famosi ed amati la tendenza è sempre quella di non rischiare, un po’ per non scontentare i fan, un po’ per non finire col rovinare una storia già vincente, così facendo però ci si ritrova con una pellicola completamente priva di personalità e spessore, adattamento pedissequo dell’originale ma svuotato della sua carica drammatica.
EDA