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Tonaru hito (隣る人, Never Let Me Go). Regista: Tachikawa Kazuya. Fotografia: Tachikawa Kazuya, Ōzawa Kazuo, Ono Sayaka. Montaggio: Tsujii Kiyoshi. Produttori: Nonaka Akihiro, Ōzawa Kazuo. Durata: 85'. Anno: 2011Link: Sito ufficiale - Yamagata IDFF - Intervista al regista (in inglese, a cura di Kusunose Kaori - YIDFF) - Intervista al regista (in giapponese - Real Tokyo)
Documentario che segue la vita di un gruppo di bambini in un orfanotrofio un po' speciale, una casa di supporto che aiuta i piccoli a reintegrarsi con le loro famiglie, quando queste sono presenti. La relazione dei bambini con il personale è molto forte mentre quella con i genitori, assenti in quanto ritenuti non idonei a svolgere il ruolo genitoriale, è spesso assai difficile.Questo documentario è il frutto di ben otto anni di lavoro in cui il regista Tachikawa ed i suoi due cameraman/collaboratori hanno seguito prima e filmato poi, videocamera alla mano, la quotidianità di un piccolo e speciale orfanotrofio giapponese. La location per niente urbana (la provincia rurale della prefettura di Saitama) ed il numero non particolarmente elevato di bambini, rendono il luogo più che una struttura di supporto, una grande casa/comunità dove vive un tipo particolare di famiglia allargata, quella formata dal personale dell'orfanotrofio e dai bambini stessi. L'occhio della videocamera spesso, e inevitabilmente, interagisce direttamente con i ragazzini, talvolta dialogando, talvolta imprecando contro il cameraman con quella trasparenza di emozioni che solo ai bambini è permessa.
A questo proposito il più illustre esempio che affiora alla memoria dell'appassionato di cinema giapponese è quello di Kyōshitsu no kodomotachi(Children in the Classroom) di Hani Susumu che con questo suo documentario del 1954 rivoluziona certo modo di intendere il documentario (ed il cinema), creandodi fatto i presupposti per quella che di lìa poco sarà battezzata (dalle major con obiettivi economici) la nuberu baagu (Nouvelle Vague) giapponese. Se ora nell'arte documentaria sembra quasi naturale che l'oggetto del film interagisca con il soggetto filmante quasi dettandone i ritmi e le scansioni lo dobbiamo proprio al piccolo capolavoro di Hani.
Anche in Tonaru hito l' oggetto filmico è composto dalla relazione fra i bambini, il personale e coloro che stanno dietro la videocamera. Questo tessuto di relazioni che si può ottenere solo donando il proprio tempo ai bambini e guadagnandosi la loro stima, permette al documentario di presentarci delle scene davvero molto intense.
Il saluto di addio di una componente dello staff dell'orfanotrofio che sta per sposarsi, getta nella disperazione più pura una delle bambine che a lei era molto legata. Impossibile trattenere le lacrime sentendo i 10 minuti di urli della ragazzina che si aggrappa alla donna come se stesse per morire. C'è tutta la solitudine e il disperato bisogno di amore di questi bambini in questa scena e lo si capisce anche quando un'altra ragazzina viene fatta incontrare con sua madre, solo per un giorno e per provare a vedere se sia possibile tornare a vivere insieme. La situazione è quasi surreale perchè la bambina resta malvolentieri con la mamma e solo per far un piacere al personale dell'orfanotrofio che sente come la sua vera famiglia. È questo un punto assai delicato che Tonaru hito ha il merito di evidenziare ed affrontare. Come aiutare questi bambini senza però riempire il loro vuoto con troppe illusioni verso i membri dello staff che sono di fatto la loro nuova famiglia? Naturalmente non c'è una soluzione a questo problema. Una sorta di risposta criptica che il documentario ci dà è la scena finale. Una delle donne della casa si sveglia la mattina prestissimo per preparare solitaria la colazione per tutti, il silenzio della casa di solito animata dalle grida dei suoi giovani ospiti e avvolta nella luce del giorno nascente è uno spazio che ci invita a riflettere. [Matteo Boscarol]
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