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C’erano una volta dei semi, quelli che l’uomo aveva iniziato ad addomesticare nel paradiso terrestre geolocalizzato nella Mezzaluna fertile, scordati in un contenitore ricavato da una zucca svuotata ed essiccata, che incontrarono qualche goccia d’acqua e qualche batterio. E il tempo fece il resto. Quante volte quel miscuglio sconosciuto venne ignorato! Ma un giorno la ciotola si rovesciò sopra una pietra rovente e l’acqua evaporò, regalando ad occhi e mani curiose il primo biscotto. Anzi no, la prima galletta, visto che la doppia cottura fu perfezionata qualche centinaio d’anni dopo. Probabilmente le stesse mani curiose, una volta assaggiata la poltiglia cotta, complice la voglia di addomesticare anche le papille gustative, cercarono fichi dolci e carnosi, chicchi d’uva carichi di sole e rubarono guardinghe il miele selvatico che vicino al villaggio, quasi a km zero, veniva prodotto da piccole api operose. Le mani curiose diedero vita ad un impasto più consistente rispetto alla poltiglia iniziale, unendo di volta in volta grani diversi, semi appena scoperti, aromi e spezie rubati ai sacerdoti, che li usavano per onorare le divinità al tempio e per imbalsamare i cari morti, e la produzione di queste gallette si perfezionò in qualità e quantità. E quelle stesse mani curiose prima e laboriose poi fecero un gesto rivoluzionario, donando la galletta e condividendo il piacere dell’assaggio.
Da allora il loop biscottifero non ci ha più lasciato: le gallette dolci diventarono un must sulle tavole dei greci, dove aprivano e chiudevano i pranzi, ed i romani codificarono una professione ad hoc, quella dei “pistores dulciari”, i cui bis-bis-bis nipoti duemila anni dopo si sarebbero sfidati a colpi di talent. Ma è a Venezia che la galletta, con la quale all’Arsenale si riempivano le stive della galere in partenza, si trasformò nel bocconcino irresistibile che conosciamo: prima dell’anno mille, infatti, arrivò lo zucchero (qui una breve storia dello zucchero di canna e della principessa di Cipro)) e le dispense domestiche non furono più le stesse. Bucellatum e globulus lasciarono il posto a berlingozzi, bracciatelle, ciladoni, mostaccioli, offelle e cialde e se la forchetta arrivò in laguna grazie alla principessa bizantina andata in sposa al figlio del doge chissà quale fu il cuoco di casa patrizia, magari avvezzo alla lettura dello Scappi, che propose alla padrona di casa, in attesa di ricevere ospiti nel pomeriggio, di accompagnare le novità giunte da poco in laguna, come il caffè ed il cioccolato, con friabili pasticcini, i “golosessi” che da allora fanno bella mostra di sé in ogni credenza che si rispetti. Perché il biscotto diventa così virale durante il pagano periodo delle Luci aka Natale? Perché quando la Natura sembra dormiente, e in verità sta lavorando in gran segreto per esplodere in primavera, l’uomo ha bisogno di sicurezza e di certezza: ecco allora le luci accese durante le lunghissime notti autunnali prima ed invernali poi, ecco i semi e le spezie messaggeri di buoni auspici e naturalmente il gesto del dono che esce dai templi e diventa momento di condivisione più intimo, celato e sincero. Quest’anno ho biscottato anch’io naturalmente, anche dei meravigliosi biscotti persiani ricchi di miele e datteri ed impasti così speziati da sorprendere anche me, e vorrei donarvi una "galletta" con meno zucchero e tanti sorrisi, una versione alcolica e profumata dei bussolà chioggiotti, da sgranocchiare durante il rito che chiuderà questo lungo periodo delle Luci, davanti ai falò che si accenderanno nella notte dell'Epifania, ad osservare le faville che salgono cielo, elaborando sogni e speranze.
TORCETTI AL VIN BRULE’
Preparazione: 10’ più il riposo Cottura: 20’ Difficoltà: minima Ingredienti 250 g di farina 00 di buona qualità 1 pizzico di bicarbonato 75 ml di vino rosso 75 olio extravergine d’oliva del Garda sale iodato un cucchiaino contenente cannella in stecca, chiodi di garofano, cardamomo e le zeste di un’arancia in una piccola garza (tipo bustina di tè) Preparazione Raccogliere le spezie nella garza e chiuderla a mo’ di bustina di tè ed inserirla in un pentolino con il vino, portarlo a bollore e far raffreddare. Accendere il forno a 180° e coprire con carta forno una teglia. Setacciare la farina e trasferirla in una ciotola con il sale e il pepe. Unire l’olio impastando e, un po’ alla volta, unire il vino profumato fino ad ottenere un composto sodo. Far riposare per almeno mezz’ora. Creare dei rotolini, come per confezionare degli gnocchi, piegarli a metà, attorcigliarli su sé stessi, chiudere i torcetti unendo le estremità e premendo appena. Disporli sulla teglia, infornare e cuocere per 15’ o comunque fino a doratura. Sfornarli, lasciarli raffreddare e servirli con lo stesso vino utilizzato per produrli. Si conservano fragranti in una scatola di latta.
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