OMELIA DELL'ARCIVESCOVO DI TORINO, MONS. CESARE NOSIGLIA,
AL FUNERALE DELLE VITTIME DEGLI ATTENTATI DI TUNISI
(Torino, santuario della Consolata, 22 marzo 2015)
《Cari fratelli e sorelle,
in queste circostanze di grave lutto e dolore ci accorgiamo quanto le parole di conforto e di solidarietà e viva partecipazione, che possiamo esprimere a chi ha perso in modo così tragico una persona cara, sono ben povera cosa di fronte alla sua profonda sofferenza. Tanto più in questa circostanza, di fronte a una follia omicida così brutale, irrazionale e disumana che ci lascia attoniti e sconvolti, per cui non riusciamo e non possiamo comprenderla. Solo la preghiera, il silenzio e l'ascolto della Parola di Dio può infondere speranza e dare forza di cui c'è tanto bisogno in questi momenti.
Il mistero della morte trova infatti luce e speranza nelle parole dell'Apostolo Paolo che abbiamo ascoltato: l'amore di Dio, la sua carità, è fonte di speranza per coloro che vivono il suo amore nell'esistenza concreta di ogni giorno verso i propri cari e la comunità. "La carità non avrà mai fine [...]. Adesso noi vediamo in modo confuso, come in uno specchio; allora invece vedremo faccia a faccia [...]. Ora rimangono queste tre cose: la fede, la speranza e la carità. Ma la più grande di tutte è la carità" (1Cor 13,8.12-13). Non è questa una convinzione puramente umana, frutto dei nostri ragionamenti o suscitata dai nostri desideri e dunque debole e incerta, ma una speranza vera e definitiva, perché fondata sulla carità di Cristo Gesù, che ha percorso, lui Figlio di Dio, la via della ingiusta violenza fino alla morte di croce, perdonando e amando persino i suoi persecutori. Per questo è risorto, proprio per dirci che la morte non ha l'ultima parola, perché quella definitiva sarà l'amore di Dio per coloro che su questa terra lo hanno amato donando la propria vita per i fratelli.
Per questo la nostra preghiera è carica di dolore e di tristezza, ma anche di profonda fede pasquale: celebriamo infatti la vittoria di Cristo sulla morte, vittoria che per Antonella e Orazio si sta compiendo ora e si compirà insieme con noi alla fine dei tempi. Niente infatti, né morte, né vita, né tribolazione o sofferenza potranno mai separarci dall'amore di Dio che ci è stato dato in Cristo Gesù nostro salvatore. Siamo dunque certi di questa pienezza di vita di cui godono ora Antonella e Orazio, perché ce lo annuncia la Parola di Dio, ma anche perché il loro ricordo in mezzo a noi è quello di persone semplici, buone e oneste, ricche di umanità che hanno coltivano negli affetti e nel lavoro.
La conferma di tutto ciò la troviamo nel Vangelo delle Beatitudini, dove Gesù proclama felici coloro che sono poveri, miti, puri di cuore, operatori di pace, misericordiosi, coloro che piangono perché saranno consolati e quelli che vengono perseguitati a causa della giustizia perché di essi è il Regno dei cieli. Si tratta di una certezza che rovescia le considerazioni e la mentalità di questo mondo, dove sono considerati felici e beati coloro che sono ricchi, potenti, chi si gode la vita e domina sugli altri, chi perseguita o uccide e risulta più forte perché più violento. Una certezza che non riguarda solo l'aldilà, ma l'esistenza quotidiana del nostro oggi e del nostro domani. Fanno parte di questa schiera di oppressi e sofferenti, operatori di pace e perseguitati... tutti coloro che anche oggi, nonostante tanta ingiustizia e violenza contro gente povera e innocente, tante malvagità e cattiverie verso chi opera nella legalità per la pace e la concordia tra i popoli e tra le diverse comunità religiose, si ostinano a credere che il bene è più forte del male e che alla lunga sarà l'amore a vincere l'odio e ogni via di violenza irrazionale e omicida.
Sono profondamente convinto che nel mondo esista un numeroso popolo di questi Beati, che sono presenti e attivi in ogni nazione: uomini e donne, giovani e adulti, credenti di ogni fede e non credenti, che operano per il rispetto di ogni persona, del suo credo religioso, della sua cultura e delle sue idee e scelte di vita, come del suo lavoro e della sua famiglia. Occorre risvegliare questa coscienza collettiva, perché non sia rassegnata a ciò che appare a volte ineluttabile e che in realtà può essere vinto dalla volontà di bene che alberga nel cuore di ogni uomo e dall'impegno concorde di tutti.
La strage degli innocenti che si è rinnovata in questi giorni scuota la coscienza di ogni uomo di buona volontà e ci renda tutti più consapevoli che chi si serve della violenza e sceglie la via del sangue aggredendo cittadini inermi non avrà mai la vittoria, se non nella propaganda strumentale sulla rete e sulle vie mediatiche, perché l'Amore e la volontà di pace e di rispetto di ogni persona, alla lunga, vinceranno, avendo dalla propria parte la potenza di Dio.
È una speranza che va sostenuta da un concreto e condiviso impegno che rinnovi profondamente il nostro sistema di mentalità e stile di vita che abbiamo promosso in questi decenni. Perché questo cambiamento è oggi la più grande sfida della nostra società occidentale, indebolita dal consumismo dell'avere sempre di più, che ha illuso che la felicità dipendesse dal possesso di beni, di soldi e di potere, una società dove cresce la solitudine e la noia di una vita senza regole etiche condivise, una società sazia e stanca che sta perdendo la sua anima culturale e spirituale.
Per questo Papa Francesco ci sta indicando vie molto concrete su cui ritrovarci come credenti di varie religioni e non credenti, uomini e donne di buona volontà; si tratta di imparare e andare a scuola dei poveri, immergendosi nelle periferie esistenziali e condividendo le miserie di chi abita situazioni di grave disagio e difficoltà e viene spesso considerato uno scarto o un peso per la comunità. Da lì si deve ripartire per promuovere una società più giusta, equa e solidale che non lasci alcun spazio alla violenza, nessuna giustificazione per il prevalere di ideologie culturali, religiose o sociali che dividono e innalzano muri, là dove invece occorre gettare ponti di amore, di incontro e di collaborazione, per perseguire uniti il bene comune rispetto al bene individuale della propria nazione, religione o cultura.
L'Inno alla carità e il Vangelo delle Beatitudini - veri manifesti degli onesti e dei poveri - non ci mostrano l'utopia di una società perfetta, ma ci spronano a credere nella possibilità concreta di un mondo nuovo e diverso, fondato su comportamenti individuali e collettivi orientati all'amore e non all'egoismo, al servizio dei fratelli che subiscono prove ingiuste o sofferenze fisiche o morali, piuttosto che al culto di se stessi. Così il sacrificio dei cari defunti che oggi piangiamo non sarà stato vano e porterà molto frutto.
+ Cesare Nosiglia
Arcivescovo di Torino》