Torna a Bondi il ddl sugli enti lirici. La notizia è che Napolitano non ha firmato, non che la cultura è allo sfascio.
Creato il 30 aprile 2010 da Massimoconsorti
@massimoconsorti
L’affaire “cultura” è l’ultimo dei pensieri di questo paese in cui le mamme degli imbecilli sono sempre incinte. Il ddl sugli enti lirici non è che l’ennesima nefandezza di un ministro che, lo sottolineiamo da tempo, è il killer di un governo che ha fatto della negazione del sapere una delle sue linee guida. A Sandro Bondi, che sta alla cultura come Berlusconi al Dalai Lama, è stato affidato il compito di affossare tutto quello che non rientra nelle capacità di intelligere del suo Padrone il che, considerato l’”intellettuale” Berlusconi, significa adoperare il metro di “Drive In” per stabilire ciò che in Italia è cultura oppure no. Bondi, abituato ad acquistare patacche (signor ministro, che fine ha fatto il crocifisso simil-Michelangelo pagato 3 milioni di euro?), è un altro che se sente parlare di cultura mette mano alla pistola, esattamente come il suo collega Brunetta che dà dei “morti di fame” agli intellettuali invitandoli ad andare “a morire ammazzati”. Questa è l’aria, questo il clima che si respira nella nazione del 78 per cento del patrimonio culturale mondiale e culla, per secoli, della civiltà. Ma può bastare un “cummenda” qualsiasi per compiere uno scempio simile? No, non può. Per riuscirci occorre che quel “cummenda” abbia in mano, ad esempio, il primo network privato del Paese (Mediaset), la prima rete editoriale del Paese (Mondadori-Einaudi-De Agostini eccetera, eccetera), controlli politicamente quella che fu la prima industria culturale italiana (la Rai), abbia in mano la produzione e la distribuzione cinematografica (Medusa Film), editi le riviste di gossip più importanti che si trasformano in centrali d’intelligence (Chi, Sorrisi e Canzoni, eccetera, eccetera) e qualche quotidiano più politico intestato ai parenti stretti e il gioco è fatto, basta trasformare l’agone politico in mercato televisivo e la deriva plebiscitaria è bell’è pronta all’uso. E poi diciamolo, gli enti lirici a che servono? Tremonti da una vita va dicendo che è roba da vecchi, tanto che Corrado Guzzanti ne ha ricavato una parodia memorabile. E lo stesso discorso, secondo Tremonti, vale per un teatro in cui gli autori sono sempre gli stessi, le opere in scena sempre le stesse, gli attori sempre gli stessi e i finali dei drammi immoti nel tempo: “Che occorre andare a teatro per sapere che alla fine quella bagascia di Tosca si butta da Castel Sant’Angelo?”, dice il Guzzanti-Tremonti. All’interno di questa maggioranza, purtroppo, non c’è un cane che cerchi in qualche modo di tutelare il nostro patrimonio. Perfino Gianfranco Fini, nel quale molti ripongono speranze destinate però ad andare deluse, l’unica “recensione” che ha fatto in vita sua è stata quella nella quale ha stroncato “Meno male che Silvio c’è” e affermato che Apicella non gli piace. Siamo alla deriva, travolti dall’ignoranza e senza possibilità d’appello. Ma che volete gliene freghi di Puccini a Calderoli abituato a essere svegliato dal tam-tam? E purtroppo non c’è niente da ridere, visto che neppure i giornali cosiddetti progressisti, hanno dedicato più di dieci righe al ddl sugli enti lirici non firmato da Napolitano se non per il fatto che il Presidente non l’ha firmato, questa, alla fine, era la notizia. Ma del contributo dato allo sfascio della cultura nel nostro paese da La Repubblica, dal Corriere della Sera, dalla Stampa, dal Messaggero, dai Quotidiani Nazionali e da quelli locali, parleremo in seguito tanto per dimostrare che dire blabla è facile, mentre difficile è fare i conti con un mercato travolto dall’ignoranza che anche loro hanno purtroppo contribuito a creare. Nessuno è esente da colpe, nessuno è innocente, nessuno può permettersi di scagliare la prima pietra tantomeno l’Osservatore Romano e l’Avvenire. E poi uno dice che si butta nelle Fabbriche di Vendola.
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