Modern Times è ancora un film muto, ma non del tutto: l’autore iniziava infatti a nutrire una minore diffidenza nei confronti del sonoro, usandolo non per dare vita ai dialoghi, ma più semplicemente per conferire risalto a suoni e rumori, come aveva già fatto in City Lights, (Luci della città, 1931), presentato come muto con commento musicale aggiunto e gags sonore inserite ad irrisorio sberleffo (la splendida scena iniziale, l’inaugurazione di un nuovo monumento, dove le vacue parole delle autorità sono sostituite dal suono del kazoo).
“Tempi moderni è il film del Ventesimo secolo”, ha scritto Peter von Bagh in suo saggio critico (contenuto nel booklet curato da Cecilia Cenciarelli, allegato al doppio DVD del film restaurato, in uscita a cura della Cineteca di Bologna) e credo non gli si possa dar torto: felici trovate comiche, estremo rigore stilistico e lucidità di pensiero rivolta al sociale si traducono sullo schermo nella visualizzazione, allo stesso tempo candida, poetica e anarchica, di un’umanità prossima ad essere stritolata dai moderni macchinari, la cui essenza non può trovare posto, nonostante il suo estremo opporsi, in un mondo dove sembra prevalente la disumanizzazione unita alla ricerca di un progresso fine a sé stesso, incapace di concretizzare una vera evoluzione.