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Torna la vita a Chernobyl, paradiso degli animali

Creato il 06 ottobre 2015 da Retrò Online Magazine @retr_online

Dopo lo scoppio della centrale nucleare, Chernobyl era diventata un deserto di morte. Ora, dopo quasi 30 anni, torna ad essere ripopolata da alci, caprioli, cervi rossi, lupi e cinghiali.

La centrale di Chernobyl, ora situata in territorio ucraino, a soli 16 chilometri dal confine con la Bielorussia, il 29 aprile 1986 fu teatro di uno degli incidenti nucleari più gravi della storia. Il materiale radioattivo fuoriuscito si diffuse nell’ambiente circostante fino a raggiungere vaste regioni d’Europa. Immediatamente dopo lo scoppio, una delle misure di protezione fu la creazione della cosiddetta zona di esclusione, con un raggio di 30 chilometri dall’impianto, che venne evacuata e messa sotto controllo militare. In seguito alla diffusione del materiale radioattivo, le dimensioni dell’area furono modificate in base alle misurazioni del livello di cesio, fino al raggiungimento di un’estensione di 4200 chilometri quadrati, circa 2100 dei quali in territorio bielorusso, fanno ora parte della “Riserva radioecologica di Stato di Polessye”.

Ora la vita è tornata a Chernobyl: a quasi 30 anni dalla tragica esplosione, alci, caprioli, cervi rossi, lupi e cinghiali ripopolano la zona vicina alla centrale, che sembra quasi una riserva naturale. Descritta sulla “Current Biology“, la ricerca dell’Università di Portsmouth, nel Regno Unito, offre una lezione importante per valutare l’impatto a lungo termine del più recente incidente nucleare di Fukushima. In un’intervista a BBC News, Jim Smith, co-autore dello studio e scienziato ambientale dell’università inglese, dichiara:

Photo credit: Tom Bech / Foter / CC BY

Photo credit: Tom Bech / Foter / CC BY

«Il numero di animali che vediamo a Chernobyl è simile a quello delle popolazioni nelle riserve naturali incontaminate. Il numero di lupi è stato particolarmente impressionante: fino a 7 volte superiore a quello delle vicine riserve naturali di dimensioni comparabili».

I rilevamenti fatti rivelano anche la progressiva crescita nelle popolazioni di questi animali da uno a 10 anni dopo lo scoppio della centrale. «Questi risultati dimostrano per la prima volta che, indipendentemente dai potenziali effetti delle radiazioni sui singoli animali, la zona di esclusione di Chernobyl ospita un’abbondante comunità di mammiferi dopo quasi 30 anni di esposizione cronica alle radiazioni», conclude lo studio. Smith e i suoi colleghi non sostengono che le radiazioni siano benefiche per gli animali, ma sottolineano che gli effetti degli insediamenti umani, tra i quali la caccia, l’agricoltura e la deforestazione, potrebbero avere effetti peggiori su di essi rispetto alle radiazioni stesse. A loro parere questi animali, a seguito dell’esposizione alle radiazioni nucleari, potrebbero aver subito dei danni genetici, eppure ora continuano a vivere in quest’area, dove l’uomo non è presente.

Nonostante Smith si dichiari pienamente fiducioso nell’integrità dei risultati ottenuti, dopo aver lavorato per oltre vent’anni a contatto con gli scienziati bielorussi, il nuovo studio viene messo in discussione da alcuni esperti. Per esempio, Anders Moller, ecologo dell’Università di Paris-Sud-Orsay, ha ricordato che le radiazioni di Chernobyl hanno avuto effetti potenti sugli animali, come la formazione di un cervello più piccolo nei volatili. Anche altri studi evidenziano la presenza di malformazioni e mutazioni negli invertebrati, negli uccelli e nella fauna di acqua dolce. Tuttavia Smith ribadisce che le radiazioni non c’entrano niente:

«L’’immagine restituita da questo studio rivela ciò che accade in termini di conservazione della fauna selvatica quando si mettono gli esseri umani fuori dal quadro. Ma lo studio non ha riguardato gli effetti sulla salute delle radiazioni sui singoli animali».

Cosa che invece sta studiando da molti anni Tim Mousseau dell’Università della South Carolina, che con il suo team continua ad indagare sugli effetti delle radiazioni sugli animali selvatici, soprattutto sugli uccelli, nella zona di esclusione di Chernobyl. Mousseau ha definito il suo nuovo studio «un passo avanti molto positivo nella conduzione della ricerca riguardante i potenziali impatti degli incidenti nucleari sulla salute e sull’ambiente. E’ assolutamente necessario fare molta più ricerca su tutto questo». Ha inoltre dichiarato a BBC News di essere preoccupato perché può passare l’idea che Chernobyl e l’area circostante brulichino di fauna selvatica:

«Questo studio è applicabile solo ai grandi mammiferi sotto pressione venatoria, piuttosto che alla stragrande maggioranza degli animali (la maggior parte degli uccelli, dei piccoli mammiferi e degli insetti) che non sono direttamente influenzati dagli insediamenti umani».

S.C.

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