Tornare in El Salvador, dopo un mese e mezzo trascorso in Italia, con la consapevolezza di essere ormai ufficialmente parte dello staff fino alla fine del progetto mi ha provocato un turbinio di emozioni contrastanti.
Da un lato c’è l’innegabile gioia di aver ottenuto il tanto agognato contratto, e la soddisfazione per avercela fatta… almeno per il momento: la folle caccia alle vacancy è rimandata al 2015.
Dall’altro lato c’è il lavoro arretrato di due mesi da recuperare; nuove dinamiche da conoscere, capire e approfondire; significativi cambiamenti al testo del progetto da mettere in atto.
Devo riabituarmi ai ritmi locali, ai lunghissimi tempi morti, alle dilazioni e ai rimandi infiniti, agli “ahorita” (termine traducibile nel meno poetico “aspetta e spera”) continui. Ma soprattutto devo abituarmi all’idea di non essere più una stagista! Per cui tutte le incombenze a me attribuite sono ora una mia esclusiva responsabilità. Questo non significa che sia cambiato qualcosa a livello di organizzazione interna (cosa che, effettivamente non è accaduta), quanto piuttosto qualcosa a livello di presa di coscienza personale. Ottenere un contratto non rappresenta il fine ultimo, quanto piuttosto l’inizio di un percorso personale e professionale che, ovviamente non si conclude al termine del medesimo.
Ora sento molto di più il peso delle mie responsabilità e, di conseguenza, ho molta più paura di sbagliare e di deludere le persone che hanno deciso di credere in me, i colleghi di lavoro, i beneficiari e, ovviamente me stessa. Insomma non mancano i momenti di frustrazione, ma, per fortuna, neanche quelli di soddisfazione che derivano da un’attività di successo o da un riconoscimento, anche informale, da parte degli individui che gravitano intorno a questo progetto.
Quindi eccomi qui, di nuovo davanti a questo lago, croce e delizia dei beneficiari, pronta ad affrontare l’ultimo anno e mezzo di progetto.
Simona, 32 anni, El Salvador