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torneranno i prati non ha una vera e propria trama e non ha veri e propri protagonisti: essa descrive le vicende di un'ora al fronte, dall'arrivo di alcuni ufficiali (fra cui il maggiore, interpretato da Claudio Santamaria e il tenentino cui dà il volto Alessandro Sperduti) in trincea, a comunicare l'ordine di stabilire una nuova linea di comunicazione sotto il fuoco nemico, fino agli effetti di un durissimo bombardamento che porta il comando generale a ordinare la ritirata. L'assenza di intreccio testimonia la mancanza di un senso e di una direzione in un conflitto che non causa altro che morte e in cui i veri nemici non sono quelli che sparano o lanciano le bombe, le cui voci si odono solo all'inizio, quando incitano un soldati napoletano a continuare il canto, una manifestazione di umanità condivisa nonostante le opposte barricate, ma i comandanti e i governi che danno l'ordine di combattere e uccidere e puniscono duramente chi si dichiara troppo attaccato alla vita. Quella del fronte è una realtà disumanizzata in cui compaiono rarissimi segni di vita (gli animali che escono la notte, il larice che a stento resiste in un terreno esposto al fuoco e che, nella fantasia delle sentinelle, si colora di un oro che rappresenta forse la speranza e la bellezza rubate) e in cui i soldati sono privi di identità: è emblematico che, dopo il tragico esito di una sortita appena fuori dalla trincea, il capitano del battaglione (Francesco Formichetti) chieda con veemenza non i numeri, ma i nomi dei caduti, prima di strapparsi quei gradi che lo obbligano a pretendere - anziché condividere il dolore dei suoi sottoposti e perduti i quali non sarà più possibile distinguere la sua vicenda da quella di tutti gli altri. torneranno i prati è, infatti, un ricordo dei tanti militi ignoti che non hanno potuto ricevere sepoltura, che sono stati ingoiati dalla guerra, dalla malattia, dalla disperazione e dalla solitudine.
Seguendo lo svolgimento del film, fatto di sequenze di guerra angosciose e di momenti di stasi che rendono ancor più acuta la tensione, non si può non pensare alle coeve esperienze di Emilio Lussu, Giuseppe Ungaretti e Erich Maria Remarque: dalle loro parole, come nelle espressioni dei soldati di Olmi, emergono un tenace attaccamento alla vita e un disperato desiderio di fuggire alla morte, di porre fine a tutto, di far tacere quella voce che inneggia ad una Patria lontana, per la quale combattono uomini che a malapena si comprendono tra loro, tanti sono i dialetti che parlano.
E se il titolo pare quasi un inno di speranza ad un domani migliore, non va dimenticato, come ricorda l'attendente (Camillo Grassi) che l'erba che tornerà a coprire l'altipiano e i cadaveri su di esso abbandonati sarà sì un segno di rinascita, ma anche una minaccia, perché, cancellando i segni di ciò che è accaduto, essa porterà via anche la testimonianza del dolore e della sofferenza di tutti coloro che in quelle trincee hanno vissuto e sono morti, esuli di un'esistenza strappata loro dalla violenza delle bombe e dei fucili ma soprattutto, della freddezza dell'ordine umano, cieco a tutto quando è invaso dal desiderio di potere.
C.M.
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