In questi giorni spulciando Facebook e, nello specifico, seguendo numerosi gruppi di mamme di gemelli e affini, guardo con nostalgia e tenerezza la miriade di foto che vengono postate di piccoletti appena nati o di pochi mesi. E mi sciolgo. Letteralmente, mi sciolgo. Quelle guanciotte paffute, le manine minuscole strette a pugno, i piccoli guerrieri chiusi nelle loro scatole di plastica in TIN. Sono tutte immagini che mi riportano di slancio a quasi due anni fa, quando le mie piccole decisero di venire al mondo molto prima del termine naturale della gravidanza. E non posso fare a meno di pensare a come sono stati, i nostri primi tempi insieme. Non erano a casa, ma in ospedale. Non potevano ricevere visite, se non la mia e quella del padre bardato come un chirurgo al prossimo intervento. Non potevo portarmele in camera, perché la mia camera di nutrice non era attrezzata con monitor, tubi, elementi di prima necessità propri della Terapia Intensiva Neonatale.
Il lavoro di mamma e l’identità che ne sta dietro non si fossilizza mai, ma evolve nel corso del tempo. Solo ora me ne rendo conto. Non si è mai pronti per ciò che di nuovo può accadere. Tutto diviene, tutto cambia, tutto insegna. Ma, ritornando alla domanda di poc’anzi, posso dire che, nonostante tutto, sì, tornerei indietro. Ricordo con nostalgia le nottate in bianco per dar loro la poppata, per far loro fare il fantomatico ruttino (che a volte prendeva lo slancio di decibel da scaricatori di porto!), per farle riaddormentare. Tornerei a preoccuparmi per i rigurgiti. Tornerei a riscoprire i loro primi sorrisi, i loro primi sgambettamenti. Il loro primo incontro con la frutta grattugiata. Me lo dicevano, di godermi ogni attimo, sempre. Ma siccome sono una testona e il mio carattere va sempre all’opposto di ciò che mi viene detto, non ho seguito in toto questo prezioso consiglio. Pazienza, lo sto facendo ora e lo farò.