Ammazza quanto sono indignate queste donne italiane.
Certo, mentre negli ultimi vent’anni si sgretolava qualsiasi illusione di parità tra i sessi; mentre la televisione generalista imponeva un modello di donna più simile alla vacca da monta che all’essere umano, squalificandone aspirazioni, desideri, pensieri, persino l’individualità (la velina bionda e la velina mora, perfettamente intercambiabili, ne sono l’esempio più lampante); mentre una politica fallocentrica mortificava la partecipazione femminile alla cosa pubblica, subordinandola allo scambio di favori; ecco, mentre tutto questo avveniva, le donne italiane non hanno opposto nessuna resistenza. Hanno guardato con entusiasmo programmi televisivi che le presupponevano stupide e, non contente, se ne sono anche pavoneggiate in lungo e in largo, rivendicando il sacrosanto diritto a rilassarsi e senza il più piccolo sospetto che ciò che chiamavano svago fosse in realtà la lenta inoculazione di un potente anestetico nei loro cervelli. Hanno acquistato, sempre scegliendole in piena e orgogliosa autonomia, frivole riviste femminili di nessuna pretesa – le ultime tendenze in fatto di scarpe, dieci trucchi per farlo impazzire sotto le lenzuola (poter parlare di sesso come un uomo è la quintessenza della parità, no?), chi amoreggia con chi a Portofino. E hanno creduto che questa fosse libertà. Non si sono accorte che invece era solo un recinto più grande – e nemmeno di esserci entrate da sole, senza nemmeno una leggera spinta.
Poi però, tra il 2010 e il 2011, hanno appreso con orrore che Berlusconi frequenta regolarmente prostitute, alcune delle quali minorenni – e il poveretto non ha avuto scampo. Sgombriamo subito il campo da ogni fraintendimento: Silvio Berlusconi è il mio nemico numero uno, come dovrebbe essere il nemico numero uno di chiunque abbia a cuore questo paese, ma se dovessi ordinare le sue malefatte per gravità credo che le sue frequentazioni femminili verrebbero eclissate da quelle mafiose, dall’imbavagliamento dell’informazione, dai vari reati per i quali sarebbe stato condannato se solo non li avesse depenalizzati, dal discredito di cui a causa sua godiamo nelle sedi internazionali e in definitiva da tutto quello che ha combinato e che non ho né il cuore né la memoria di ripetere. Ma dacché siamo in Italia, dunque intrisi di cattocomunismo e atavica sessuofobia, non poteva essere che una storia pruriginosa e condita di dettagli piccanti (quanto spazio dedicato alla delicata metafora della pupilla e del culo) a risvegliare queste principesse sul pisello, le quali con una notevole capacità di ripresa e assimilazione in poche settimane hanno interiorizzato la battaglia che Lorella Zanardo conduce da anni, abbracciato la gravità della condizione femminile in Italia, organizzato una manifestazione e rumoreggiato per qualche giorno al grido di “Se non ora quando?”.
Già, quando? Prima del 13 febbraio 2011, magari. E non così all’improvviso, ché quando stai sdraiato per molto tempo e ti alzi di colpo poi ti gira la testa. Proprio quello che sta capitando anche a loro: dopo un letargo così innaturalmente prolungato, questa repentina presa di coscienza le ha sovraeccitate, così sono ora tanto pronte a inalberarsi e protestare quanto una volta erano sprofondate nella più placida atarassia e tanto frettolose di giudicare quanto una volta si sottraevano a qualunque problema che richiedesse d’essere esaminato. Vagano come Erinni esagitate, come zombie affamati, impazienti di gettare qualunque notizia nel calderone della misoginia e riempendosi la bocca di un supposto (post?)femminismo che costituisce la loro chiave di lettura di ogni questione sociale, politica, culturale. Hanno riscoperto l’identità di genere o meglio l’identità di genere che si fa lotta e, non capisco se per un generalizzato senso di rivalsa dopo secoli di minorità coatta, per scarsa voglia di approfondire i casi man mano che questi si presentano all’attenzione dell’opinione pubblica o per un disinvolto manicheismo che riduce l’Uomo al Male e la Donna al Bene, la stanno usando nel peggiore dei modi possibili: per prendere gli uomini a badilate sui denti proprio come quarant’anni fa. Nemmeno mezzo passo avanti.
Sorgono dunque, su problemi di scarsissima rilevanza, infeconde polemiche nelle quali queste consorterie di signore e signorine sguazzano come maiali nel fango. Non par loro vero di poter attaccare alla giugulare l’Uomo, il Nemico, l’infido discriminatore. Ecco, figuriamoci un momento l’infido discriminatore. Fatto? Adesso proviamo a pensarlo iscritto al pacioso, mansueto, innocuo Partito Democratico. Perché, lettori, la questione su cui le teste pensanti di “Se non ora quando?” si stanno arrovellando da un paio di giorni è proprio un manifesto della festa del PD. Questo:
Simpatico, nevvero? Lo slogan efficace, il richiamo alla popolare gonna svolazzante di Marylin Monroe, nessuna nudità esposta gratuitamente.. Insomma, non ci capisco nulla di comunicazione politica (come non capisco nulla di quasi tutto il resto dello scibile umano) ma a me è piaciuta. Non l’ho trovata minimamente lesiva della mia dignità di studentessa, di lavoratrice, di cittadina, di fidanzata. Nessuna delle categorie in cui mi si potrebbe incasellare mi sembra rovinosamente sfregiata da questo manifesto, figurarsi quella di genere – e vi assicuro che una generosa dose di vittimismo è proprio quello che non mi manca. Pare tuttavia che ci sia qualcuno più sensibile di me, nella fattispecie queste suscettibili femministe dell’ultima ora. Si sono risentite. Tanto. Troppo. Hanno cominciato a diffondere sdegno e sconcerto tramite il comitato del 13 febbraio, poi hanno invaso tutti i social network e le testate online, hanno addirittura trovato una capopolo d’eccezionale inadeguatezza in Caterina Soffici (chi l’ha assunta al Fatto Quotidiano, e non so a quale divinità rivolgermi perché non sia stato Marco Travaglio, è mio nemico) e tutte chiedono a gran voce il ritiro dell’osceno manifesto blaterando di uso strumentale del corpo femminile.
Quante energie sprecate, amiche mie. Vi pare il caso di fare il diavolo a quattro per la festa del PD romano? Vi sembranno questioni di capitale importanza, in questo paese sconquassato? Leggiamo insieme il rapporto annuale dell’Istat sulla situazione del paese, piuttosto:
Nel corso del 2010, a fronte della stabilità dell’occupazione femminile, è peggiorata la qualità del lavoro delle donne: è diminuita, infatti, l’occupazione qualificata, tecnica e operaia ed è aumentata quella a bassa specializzazione, dalle collaboratrici domestiche alle addette ai call center. Lo sviluppo dell’occupazione femminile part-time nel 2010 è stato poi caratterizzato dalla diffusione dei fenomeni di involontarietà, mentre è andato ampliandosi il divario di genere nel sottoutilizzo del capitale umano: il 40 per cento delle laureate ha un lavoro che richiede una qualifica più bassa rispetto al titolo posseduto.
Certo essere discrimate sul lavoro non è grave, mortificante e incivile quanto un’immagine su un manifesto. Ma andiamo avanti:
La crisi ha ampliato i divari tra l’Italia e l’Unione europea nella partecipazione delle donne al mercato del lavoro. Il tasso di occupazione delle donne italiane, già inferiore alla media europea tra quelle senza figli, è ancora più contenuto per le madri, segno che i percorsi lavorativi delle donne, soprattutto quelli delle giovani generazioni, sono segnati dalla difficoltà di conciliare l’attività lavorativa con l’impegno familiare. Non a caso più di un quinto delle donne con meno di 65 anni occupate, o che sono state tali in passato, dichiara di aver interrotto l’attività lavorativa nel corso della vita a seguito del matrimonio, di una gravidanza o per altri motivi familiari, contro appena il 2,9 per cento degli uomini. Per le donne che hanno avuto figli la quota sale al 30 per cento; nella metà dei casi la causa dell’interruzione è proprio la nascita di un figlio. [...] interrompere il percorso lavorativo in occasione di una gravidanza non è il risultato di una libera scelta: sono circa 800 mila (quasi il nove per cento delle madri che lavorano o hanno lavorato in passato) le donne che, nel corso della loro vita, sono state licenziate o messe in condizione di lasciare il lavoro perché in gravidanza, e solamente quattro su dieci hanno poi ripreso il percorso lavorativo. A sperimentare le interruzioni forzate del rapporto di lavoro sono soprattutto le giovani generazioni (il 13,1 per cento tra le madri nate dopo il 1973) e le donne residenti nel Mezzogiorno, per le quali più frequentemente le interruzioni si trasformano in uscite prolungate dal mercato del lavoro e la quasi totalità di quelle legate alla nascita di un figlio può ricondursi alle dmissioni forzate.
Non solo emarginate in quanto donne, dunque, ma costrette a vivere la maternità come una colpa, o come un bivio. Bazzecole, me ne rendo conto. In fondo quel che conta davvero, quello per cui vale la pena lottare, non è una maggiore parità sul lavoro, non sono politiche sociali che tutelino la madre e il figlio. Queste sciocchezzuole si meritano al massimo un incontro, mica un esplodere di voci rabbiose. Nossignori, il nodo della questione è che il PD abbia avuto l’ardire di schiaffare un paio di gambe su un manifesto: dev’essere qui che converge tutto il maschilismo della nostra cultura sbrindellata da vent’anni di berlusconismo. Stracciate dunque le vostre tessere di partito, signore, organizzate sommosse e sollevazioni che turbino l’ordine pubblico durante la festa, e da qui in poi a che cosa non potreste aspirare? Indite un referendum abrogativo che cancelli qualunque parte del corpo dalle pubblicità, o magari presentate una proposta di legge che regoli i centimetri quadrati di pelle che possono essere esposti sui manifesti dei partiti, anche quelli elettorali. Fate anzi in modo che si ritorni alle lunghe tovaglie di memoria vittoriana, per non sentirvi offese dall’esposizione delle nude gambe dei tavoli, così volgari, così immediatamente ricollegabili alle gambe di una donna (aperte, per giunta).
Insomma, care colleghe, non vorrei rendermi impopolare presso di voi ma la politica è una cosa seria: non si può certo occupare delle vostre galattiche idiozie. Finché non l’avrete capito, farete meno danno rimanendo ipnotizzate davanti ai tronisti.