Magazine Cinema

Torture-porn: horror di nuova generazione o sadico marketing?

Creato il 29 novembre 2012 da Salcapolupo @recensionihc
1 Stella2 Stelle3 Stelle4 Stelle5 Stelle (Nessun voto)
0out of10 based on 0 Loading ... Loading ...

Le ultime frontiere dell’horror moderno, abbandonando definitivamente i lidi della “purezza” gotica e del thriller classico, sembrano quasi imporre – in linea con una certa brutalità dell’attualità, e finendo per ibridare più di un genere – una rappresentazione esplicita, aperta e programmaticamente in primo piano della violenza: è questo il caso della corrente denominata “torture porn“, che vede in Saw e nella saga di Hostel  (senza dimenticare casi borderline come Grotesque) alcuni dei suoi principali esponenti.

Torture-porn: horror di nuova generazione o sadico marketing?
Per quanto questa etichetta, in fin dei conti, finisca per lasciare il tempo che trova, è utile per porre l’attenzione su un problema a mio avviso fondamentale: per quale motivo film del genere riescono ad imporsi, nel bene o nel male, sul mercato? Partiamo quindi da un’analisi cronologica della nascita del genere, per cercare di comprendere se ci sia qualcosa di realmente legato ad esigenze artistiche (che quindi, oltre ad intrattenere e far rabbrividire, riflettono un certo malessere moderno) oppure se si tratti più banalmente di qualcosa di più commerciale di quanto si voglia credere. Non ci sono dubbi, dal punto di vista storico, che tale genere nasca – e sia seguito da parte del pubblico horror – sulla scia di molti exploitation generati dagli anni 70: si pensi al tremendo “I spit on your grave“, oppure alle opere prime di Wes Craven (il “papà” di Nightmare), o anche al celebre “Non aprite quella porta” il quale, forse per la prima volta, proponeva esplicitamente le sequenze più pesanti o insostenibili, quelle su  cui si era soliti, in altri tempi, sorvolare. Non che questa sia una tendenza assoluta o universale, ovviamente: esistono esempi eccellenti di orrori solo accennati che sono riusciti ad imporsi con grande successo presso critica e pubblico, ma resta il fatto che il trend attuale dei film di maggior successo degli ultimi anni ricada quasi inevitabilmente in questa categoria. Anche se non si tratta necessariamente di torture pornche si basano solitamente sulla contrapposizione tra una o più vittime ed un sadico macellaio-burattinaio -è un dato di fatto che i registi moderni spingano parecchio su questo tasto per catturare l’attenzione di un pubblico, dal canto suo, sempre più scettico, disincantato, iper-critico e non sempre propenso a vedere (ancora) horror.

Torture-porn: horror di nuova generazione o sadico marketing?

Non è certamente agevole riproporre all’infinito stilemi del passato in chiave moderna, specie quando abbiano a che fare con entità sovrannaturali (che finiscono per essere quasi sempre successi commerciali artisticamente poco validi), con zombi, vampiri, mummie e via dicendo. Ecco perchè, a mio avviso, negli ultimi anni si è migrati su un terrore sempre più aperto, realistico, esplicito e (a volte) dichiaratamente volgare: l’orrore dell’uomo sull’uomo – non importa quanto sia indigesto o difficile da guardare – riesce a farsi guardare di forza, e film di buon livello come À l’intérieur, Frontiers, Martyrs, l’allucinante Strange Circus o il controverso A serbian film riescono solidamente a dimostrarlo.

In effetti le caratteristiche fondanti del genere sembrano essere le seguenti tre:

  • il genere diventa spesso un habitat naturale per esprimere messaggi forti, critiche sociali e malessere esistenziale che nella classica “casa dei fantasmi”, ad esempio, difficilmente si riuscirebbe a far coesistere; è questo il caso di Hostel (che critica apertamente la mercificazione spietata dell’uomo), di Frontiers (che ambienta la storia nel periodo delle rivolte delle banlieue del 2005, proponendo come personaggi negativi della storia un gruppo di neo-nazisti), di Martyrs (che sembra voler criticare i pericoli insiti nell’esasperazione della religione e nel suo culto del martirio) o anche di Strange Circus (che si propone come un pugno nella stomaco per smantellare il modello happy-family dato spesso per scontato, mostrandone i vizi e le perversioni). Impossibile non citare, a tal proposito, un lavoro come The girl next door (basato su una storia vera), per quanto in questa circostanza sia piuttosto riduttivo parlare solo di torture porn.
  • esiste una componente di puro voyeourismo che finisce per stuzzicare lo spettatore più annoiato dai pupazzi, dal sangue finto e dai dischi volanti con il filo, il quale si trova finalmente catapultato in un Inferno finalmente realistico, nel quale assume egli stesso il ruolo di coinvolgimento diretto che aveva finito per perdere dopo molti dei lavori artigianali anni 80; all’inizio di Grotesque, ad esempio, il regista propone il rapimento delle due vittime da parte del maniaco con l’inquadratura soggettivizzata sugli occhi di una di esse. È come se, in altri termini, fossimo parte noi stessi parte delle efferatezza mostrate di lì a poco.
  • esiste infine – e mi pare disonesto non ammetterlo – un inconfessabile “gusto” per la violenza, che è il motivo per cui questi film vengono spesso censurati, criticati o addirittura banditi (Grotesque, Snuff 102 e molti, troppi altri), con il risultato di essere visti da un numero paradossalmente maggiore di persone. In molti casi, comunque, sono proprio le pellicole più chiacchierate ad essere quelle con minore potenziale artistico, e – anzi – quando quest’ultimo inizia a salire il pubblico sembra spesso distaccarsene. Dal punto di vista meramente teorico, comunque, l’estetizzazione della violenza è un procedimento utilizzato da moltissimi registi per realizzare film a volte di ottima fattura, altre volte semplici macellerie senza capo nè cosa (come a dire: non è questo il punto). Qualora manchino ritmo, contenuti e spessore qualsiasi film sarà scadente: ciò porta ad una conseguenza piuttosto grave dal punto di vista qualitativo, che si verifica qualora i torture porn manchino della trama, abbiano uno sviluppo troppo statico (con la semplice “scusa” di esaltare la claustrofobia, in molti casi) o non contengano alcuna sequenza che, a conti fatti, non sia meramente fine a se stessa. È bene ricordare a questo punto che l’horror non usa compiacersi della violenza che rappresenta (cosa che i torture porn fanno in quasi tutti i casi), anzi l’ha sempre utilizzata come monito – o, in casi più elaborati, per simboleggiare un determinato messaggio: se il messaggio manca, il castello crolla inesorabilmente.

Potrebbero interessarti anche :

Ritornare alla prima pagina di Logo Paperblog

Possono interessarti anche questi articoli :

Dossier Paperblog

Magazines