I nostri timori di spettatori non sono infondati e l’esecuzione infatti non sarà una finzione: Cavaradossi muore sotto i colpi dei fucili. Tosca, distrutta dal dolore, si lancia dai bastioni di Castel Sant’Angelo e pone fine alla sua vita e all’opera lirica. Agli spettatori resta il fiato sospeso mentre ritorna in mente l’aria più bella della protagonista dell’opera, quel «Vissi d’arte, vissi d’amore» che sul finale si trasforma in un testamento di Tosca, un congedo dalla vita e dalle passioni che l’hanno animata. “Tosca” del Teatro Massimo Bellini è uno spettacolo soddisfacente da tutti i punti di vista. L’allestimento scenico richiama con efficacia le diverse ambientazioni dell’opera. Al centro del palco il cancello della chiesa di Sant’Andrea della Valle con l’altare e il pavimento di marmo, che nel secondo atto si trasforma nello spoglio ambiente di una sala di Palazzo Farnese, teatro delle intimidazioni a Tosca, delle torture di Cavaradossi e dell’uccisione del barone Scarpia, per poi dare spazio ai desolati bastioni di Castel Sant’Angelo, luogo dell’esecuzione di Cavaradossi e del suicidio di Tosca. Lo spettacolo resta ancorato al solco della rappresentazione tradizionale, come nella scelta degli abiti della protagonista, di quel rosso e nero che si alternano a sottolineare i diversi momenti della trama. Scelte non originali, ma certamente azzecate, che dimostrano come il regista Giovanni Anfuso sia riuscito a trovare un giusto equilibrio nell’allestimento di una delle opere più rappresentate al mondo, rinvigorendo la bellezza del teatro pucciniano senza eccedere nel trovare soluzioni interpretative che indugiando sull’originalità, rischiano di stravolgerlo.
Solida, vibrante, ricca di profonde sfumature emotive la voce del soprano Celia Costea, che recita una Tosca appassionata, rimarcandone con il canto la natura di testarda e gelosa, ma anche di fragile, dolce e remissiva donna innamorata. Riesce bene anche il tenore Rubens Pelizzari nel ruolo di un Cavaradossi innamorato ma coraggioso, disposto a rischiare la vita per perseguire il suo ideale politico, il suo odio contro la tirannide. Profonda la sua interpretazione della romanza “E lucevan le stelle”, la cui melodia torna in forma breve nelle battute finali dell’opera, quando Tosca si getta dai bastioni del castello. Eccellente l’interpretazione di Carmelo Corrado Caruso nel ruolo del barone Scarpia, lungamente applaudito dal pubblico. Merito certamente dell’artista che dimostra di possedere un’ impeccabile tecnica e una grande capacità espressiva; ma risultato anche della scrittura di Puccini che è riuscito a costruire un ruolo gigantesco, seppure in negativo, attorno al registro di baritono che generalmente è assai trascurato, facendo invece diventare un personaggio sgradevole il fulcro di tutta l’opera. Molto buona anche la prestazione dell’Orchestra e del Coro del Teatro Massimo Bellini, diretti rispettivamente da Giuliano Carella e Tiziana Carlini. L’angoscia, la passione, la paura, le false promesse: tutti questi ingredienti fanno della “Tosca” una delle opere più apprezzate del teatro pucciniano, che a ben guardare è semplicemente una storia d’amore che con la sua dinamica parla dritto al cuore. Non c’è spazio per la ragione, per la riflessione o per l’analisi. O si ama o si odia, o si vive o si muore: nessuna via di mezzo è concessa. Così Tosca, come sottolineato dal regista Giovanni Anfuso, ci restituisce l’immagine di eroi che poi così tanto eroi non sono, che piuttosto sono uomini costretti dagli eventi a subire le situazioni che li vedono protagonisti. E mentre i due innamorati cercano di aggirare invano il loro destino di morte, noi riflettiamo su come sia difficile ricostruire le macerie dell’anima, e ricordiamo la fragilità dell’uomo e la forza dirompente dell’amore.
Fotografie di Giacomo Orlando per il Teatro Massimo Bellini di Catania