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Questo parco - il Ninni Cassarà per chi fosse di Palermo - è davvero un angolo fuori dalla città: se Palermo è il regno del caos, della completa anarchia e dell'incuria, sia da parte dei cittadini sia da parte delle autorità, il parco Cassarà fa eccezione. Pur non essendo ancora del tutto completato - circa i due terzi del parco sono ancora in via di costruzione - il parco è davvero ben tenuto, soprattutto desta particolare ammirazione la cura del prato che è morbido, rigoglioso e verdissimo.
Fino ad ora vi sembrerà che io stia parlando davvero di un idillio, lo so. Ma come in molte cose di questa città il brutto arriva quando i meravigliosi scorci della città vecchia o i rigogliosi prati verdi vengono popolati dal palermitano medio.
Il problema del palermitano medio, di fondo, è la completa mancanza del senso del bene comune.
Al parco Cassarà è vietato giocare a calcio sul prato, è una regola, immagino dettata proprio dalla volontà di mantenere il prato in buone condizioni.
Se ci pensate è anche una scelta culturale: se andate un po' in giro per l'Europa vedrete che il parco è generalmente popolato da ragazzi, famiglie o anziani e che rarissime volte il prato viene utilizzato per giocare a calcio. C'è chi corre, chi gioca è vero, ma la maggior parte della gente va al parco e si stende sul prato per leggere, prendere il sole, pranzare all'aria aperta.
Tutto questo a Palermo evidentemente non è possibile perchè la visione di un qualsiasi tipo di prato attiva nel cervello del palermitano medio la necessità fisica di prendere a calci un pallone.
Se poi colpisci quegli sparuti coraggiosi che vorrebbero fare un uso continentale del prato pazienza. Se poi arriva il guardiano e ti cazzia in tronco chi se ne frega. Il bisogno è calciare un pallone.
La cosa non mi farebbe effetto più di tanto se non fosse così diffusa, ma al parco Cassarà vedrete prendersi il cazziatone per aver infranto la regola non soltanto il gruppetto di tredicenni sguaiati ma anche le mamme e i papà con i bimbi a seguito o addirittura gli allenatori che portano le squadre di ragazzini ad allenarsi al parco. La tossicodipendenza da calcio in questo è molto democratica e affligge la popolazione in modo del tutto verticale: dal ragazzino del quartiere popolare al professionista che porta al parco il figlio, sono tutti ugualmente colpiti dal bisogno di infrangere la regola e correre incontro al pallone.
Altro particolare degno di nota: se girate un po' lo sguardo vi accorgerete che tutti giocano a calcio. Nessuno a palla avvelenata, tennis, acchiapparello, squash, pallavolo, lotta coi pollici: no, tutti, indistintamente, uniti nella lotta alla regola che bandisce il pallone bianco e nero dal prato.
Ovviamente la regola non viene nè riconosciuta in quanto tale nè capita: al rimprovero del guardiano viene data una risposta stupita, stizzita, spesso anche arrabbiata perchè che senso ha avere un prato e non poterci giocare a calcio?
Se poi il prato che tutti abbiamo contribuito a pagare si rovina a furia di calci e pallonate che importa?
Quando le (poche) buone cose di questa città cadono sotto l'incuria e il menefreghismo dei cittadini noi palermitani ce ne facciamo una ragione, voltiamo le spalle e accusiamo lo Stato, il Comune, la Divina Provvidenza di non aver fatto abbastanza per mantenere intatte le cose.
Ecco, io propongo dei centri di riabilitazione. Raccogliamoli tutti questi irriducibili del pallone e rinchiudiamoli in una bella struttura grigia, massiccia, con le sbarre alle finestre. Magari mettiamogli anche una palla al piede, così li facciamo contenti.
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