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Totem, tabù e art. 18

Creato il 13 gennaio 2012 da Davide

All’inizio del braccio di ferro tra ministra Fornero e i sindacati su un’eventuale riforma del lavoro, la Fornero affermò più o meno: “L’articolo 18 non deve essere un totem!”. Vari giornali si affrettarono a osservare, più o meno sobriamente a seconda del colore politico, che in realtà intendeva dire non totem, ma tabù. Ma qualcuno ripeté la parola totem versione Fornero, compresa la ministra stessa, felice di averla ‘sdoganata’ in una nuova accezione.
Le due parole probabilmente si sono confuse nella mente professorial-ministeriale a causa del lontano ricordo del titolo di un libro di Freud: Totem e tabù: somiglianze tra vita mentale dei selvaggi e dei nevrotici, pubblicato in tedesco nel 1913. Si tratta di una collezione di quattro saggi pubblicati originariamente sulla rivista Imago (1912-13) utilizzando l’applicazione della psicoanalisi nei campi dell’archeologia, dell’antropologia, e nello studio della religione. I quattro saggi sono intitolati: L’orrore dell’incesto; Tabù ed ambivalenza emotiva; Animismo, magia e l’onnipotenza dei pensieri, e Il ritorno del totemismo nell’infanzia. Il primo e più breve dei quattro saggi concerne i tabù dell’incesto adottati dalle società totemiche. Nel secondo saggio Freud considera il rapporto dei tabù col totemismo. Per analizzarlo, Freud utilizza i concetti di proiezione ed ambivalenza sviluppati i con pazienti. Il terzo saggio prende in esame l’animismo e la fase narcisistica associata ad una primitiva comprensione dell’universo, e l’inizio dello sviluppo libidico. L’ultima parte del saggio conclude l’esistenza di un rapporto tra magia, superstizione e tabù, sostenendo che le pratiche del sistema animistico sono schermi che celano la repressione degli istinti. Nel saggio finale, Freud crea un mito delle origini combinando una delle più speculative teorie darwiniane circa l’organizzazione delle prime società umane, in cui un singolo maschio alfa è circondato da un harem di femmine, come per i gorilla, con la teoria del sacrificio rituale. Secondo il mito freudiano del complesso di Edipo una banda di fratelli preistorici espulsi dal gruppo da un maschio alfa tornò ad uccidere il proprio padre, che essi insieme temevano e rispettavano. A questo proposito, postulò che ogni religione fosse in effetti una forma estesa e collettiva di colpa ed ambivalenza per far fronte all’uccisione della figura del padre (il vero peccato originale).
In antropologia, un TOTEM è un’entità naturale o soprannaturale rappresentata da una specie animale o vegetale, un essere umano mitico, o da un fenomeno naturale che ha un significato simbolico particolare per una singola persona o clan o tribù, e al quale ci si sente legati per tutta la vita. Il termine entra nel sec. XIX in inglese dall’algonchino degli Ojibwa ototeman, che significa ‘egli è della mia parentela’. Nei clan in cui il capostipite è divino o semidivino, tale entità è considerata il totem del clan. Per le persone, l’associazione con il proprio totem avviene in una cerimonia di iniziazione, che può avvenire appena dopo la nascita, oppure anche in età adulta.
Il TOTEMISMO, indica un complesso di credenze, usi, regole sociali, obblighi e divieti, fondati sull’esistenza di un particolare rapporto di parentela, e quindi di reciproca protezione, tra un gruppo od un individuo ed una specie di animali, piante, fenomeni naturali, paesaggi ecc. La relazione totemica, osservata in Africa, in Oceania ed in Asia, è stata studiata soprattutto presso alcuni indiani d’America e tra gli aborigeni australiani. In queste società il totem è spesso considerato un compagno o un aiutante con poteri soprannaturali e, come tale, rispettato e talvolta venerato. La più diffusa forma di Totemismo è quella di clan, estensione della famiglia coniugale e raggruppamento di parentela unilaterale, costituito da varie famiglie, i cui membri sono legati da un unico capostipite mitico dal quale discendono in linea paterna o materna. Se due gruppi hanno lo stesso totem, si ritengono tra loro strettamente imparentati ed evitano matrimoni misti per non contrarre rapporti tra consanguinei (questo divieto però non vale per i clan celtici). Di qui la connessione tra il totem ed il tabù, confermata dalla cessazione periodica del divieto di toccare il totem, come nella festa australiana Intichinma (pasto sacrificale del totem). Il totemismo, che è comunemente considerato una pratica religiosa tribale, si realizza anche nella cultura occidentale, per esempio nello scoutismo, nel satanismo di stampo black metal, nel movimento New Age, nell’uso di mascotte sportive. Un esempio non spirituale ma sociopolitico di totem è rappresentato da simboli di unità nazionale quali le bandiere, gli stemmi e così via. In alcune tribù della Costa Nordovest degli USA e del Canada dei pali di legno sono scolpiti in modo da raffigurare una serie di totem sovrapposti, e formano dei pali di totem, che vengono spesso chiamati “totem” essi stessi. Oggi si usa definire totem un cartellone pubblicitario a pilastro, il cui nome deriva dalla similitudine con la struttura dei pali di totem.
Pochi concetti antropologici hanno subito trasformazioni radicali quanto quello di totemismo. Dopo l’introduzione del termine totemismo ad opera di J. Long (1791) ed i primi studi informativi, dal 1870 si ebbe una serie di lavori sistematici sul fenomeno: F. McLennan descrisse per primo il sistema totemico avanzando l’ipotesi, ripresa e sviluppata da W.R. Smith, dell’universalità del fenomeno nelle società primitive; H. Spencer mise in relazione il totemismo col culto degli antenati, affermando che l’aspetto del totem deriverebbe dai nomignoli attribuiti agli antenati; J.G. Frazer, limitando la diffusione del fenomeno come sistema sociale complesso, sostenne la cosiddetta teoria concezionale legando il totemismo alla magia, e ponendolo come religione originaria di tutta l’umanità. In seguito si ebbe una seconda fase di studi, grazie alla scuola storico-culturale che cercò di formulare una teoria compiuta del totemismo. Una terza fase, avviatasi nel 1940, è caratterizzata dal tentativo di definire le diverse forme di totemismo, le loro origini ed i loro rapporti con la religiosità. Più recentemente l’antropologo A.R. Radcliffe-Brown ha dimostrato (1951) come nei racconti di animali il mondo della vita animale è rappresentato in termini di relazioni sociali simili a quelle della società umana; attraverso l’uso di questi simboli animali, presentati in connessioni socialmente rilevanti, il pensiero è allo stesso tempo diretto sia verso le relazioni tra animali che verso le relazioni tra gruppi umani. La scuola sociologica francese (E. Durkheim) trovava nello studio del materiale definito “totemico” la teorizzazione, in chiave religiosa, del corpo sociale: dai culti totemici comunitari alla concezione di una società superordinata, quasi una potenza autonoma rispetto ai suoi membri.
Tuttavia, le teorie che nell’Ottocento e nel primo Novecento cercavano di spiegare il fenomeno sono state in gran parte superate: benché si ammetta che possa contenere elementi religiosi quali il culto degli antenati e l’animismo, il totemismo non è più considerato una religione, né tanto meno un primo stadio evolutivo della storia dell’umanità. Claude Lévi-Strauss è stato uno dei maggiori critici di tali teorie, affermando che questo fenomeno è un concetto antropologico privo di realtà oggettiva. Il totemismo, come categoria, è considerato da Lévi-Strauss solo per la sua capacità di classificare, grazie al rapporto di denominazione, un determinato gruppo umano, distinguendolo da altri e al contempo mettendolo in relazione col mondo e con gli altri gruppi umani. In tal modo l’uomo si pone come oggetto la natura e la fa propria, trasformandola in cultura, organizzandone gli elementi (animali e piante soprattutto: le specie viventi, ma anche astri, pianeti, ecc., a cui si attribuisce una funzionale “vitalità”) mediante la loro classificazione per specie e l’introduzione in un preciso sistema di rapporti, secondo le regole tassonomiche del ‘pensiero selvaggio’ che sono in fondo quelle del bricolage.
In seguito alle ricerche condotte tra i gruppi etnici che adottavano o adottano il totemismo, questo appare un sistema complesso nel quale intervengono fattori classificatori, economici e culturali: con il proprio totem il gruppo non solo individua se stesso ma tende ad affermare la propria supremazia, definisce la sua posizione sociale e le sue prerogative. Ciò conferma in parte la tesi di Lévi-Strauss, ampliandola però alla sfera dei rapporti socio-economici: sia all’interno dei singoli gruppi individuati da uno stesso totem (spesso considerato “fondatore” del clan), sia fra quelli appartenenti a una stessa popolazione che ha le medesime usanze, sia fra gruppi totemici e altri non totemici presenti nel medesimo territorio. In sostanza, quando gruppi diversi all’interno della stessa società traggono nome e identità da piante, animali ed esseri mitici, questi totem affermano, simbolicamente, anche la superiore unità sociale. L’appartenenza al gruppo totemico, inoltre, consentirebbe la protezione dei singoli nelle società prive di altri meccanismi che assolvano a questa funzione.


Il termine TABÙ, più correttamente tabu deriva, tramite il francese tabou e l’inglese taboo, dalla lingua polinesiana delle isole Tonga tapu, in hawaiano kapu. Il termine è già registrato dagli Inglesi a Tonga sin dal 1771, ma entra nel lessico comune italiano nel XX secolo. In una società umana un tabù è una forte proibizione (o interdizione), relativa ad una certa area di comportamenti e consuetudini, dichiarata “sacra e proibita”. Infrangere un tabù è solitamente considerata cosa ripugnante e degna di biasimo, per cui vengono istituite proibizioni e interdizioni riguardanti la sfera di attività che la riguardano. A seconda delle società che credono nei tabù, alcune sanzionano le violazioni tramite la legge con pene severe, altre pensano a una punizione di carattere soprannaturale, altre sanzionato la violazione tramite censura sociale con imbarazzo, vergogna e insulti.
All’inizio il termine tabù, introdotto negli studi a partire dal 1784 dopo la pubblicazione della relazione del terzo viaggio nel Pacifico di J. Cook, che lo aveva individuato la prima volta presso gli indigeni delle isole Tonga, dava la possibilità di significare un gran numero di concetti e istituti di culture non occidentali, senza doverli tradurre con una terminologia occidentale fuorviante (per esempio legge, reato, peccato ecc). In seguito, si è persa di vista la convenzionalità del termine e gli si è attribuita una realtà culturale che è stata intesa come anteriore, ossia come un’espressione di religiosità elementare, facendo astrazione da ogni contesto culturale. Sono nate così le diverse classificazioni e teorizzazioni del tabù che hanno avuto gran parte negli studi storico-religiosi. A J. G. Frazer si deve una casistica minuziosa dei tabù che vengono raccolti in 4 categorie generali (azioni, persone, oggetti, parole) e sostanzialmente spiegati in chiave magica. La chiave magica è ancora utilizzata dalla scuola sociologica francese (E. Durkheim, H. P. Hubert, M. Mauss), che tuttavia, in vista dei suoi particolari interessi, scopre nel concetto di tabù funzioni sociali. Lo vede come strumento per la realizzazione della dialettica sacro-profano individuante una determinata comunità; come “rito negativo” operante nello stesso senso dei “riti positivi” ma a livelli irraggiungibili dai riti positivi imposti dalla società, a livello magico, data la contrapposizione che fa questa scuola tra un comportamento magico asociale e un comportamento religioso sociale. Con R. R. Marett, invece, si raggiunge un “magismo” assoluto, geneticamente estraneo all’edificazione sociale: tabù viene spiegato col concetto di mana e diventa una difesa dal “rischio mistico” di venire a contatto con ciò che è provvisto di mana (potenza-forza impersonale extraumana). Infine S. Freud equipara il tabù alle fobie riscontrabili in certe forme di nevrosi ossessive, fino a ricostruire in termini psicanalitici un’“infanzia” dell’umanità. La critica scientifica, mossa soprattutto dall’antropologia funzionalista (da B. Malinowski in poi) e strutturale (C. Lévi-Strauss), ha di fatto posto fine a un dibattito basato su premesse errate. Attualmente, del vecchio dibattito resta nell’uso comune linguistico l’accezione, per estensione, come sostantivo e aggettivo, di tabù come proibizione dovuta a convenzioni ereditarie, di divieto ingiustificato, come nella frase ‘sono ormai caduti molti tabù sessuali’. Scherzoso, denota cosa o persona cui non è consentito avvicinarsi, oppure parola che non è lecito nominare e simili, per esempio, un argomento ‘tabù’.
Per tornare alla premessa iniziale, cosa intendeva la ministra Fornero con totem? Implicava che si poteva ‘uccidere il padre’ come nel mito freudiano di Edipo? In questo caso è un po’ difficile stabilire chi è il padre da uccidere: si tratta di Di Vittorio, come padre nobile del sindacalismo italiano oppure si tratta, in tempi più vicini, degli ispiratori dello Statuto dei Lavoratori, Brodolini e Giugni? Oppure Fornero tentava un paragone ironico, ma in modo confuso, perché in questo caso non può essere l’articolo 18 a essere un totem, ma il sindacato stesso. Come sappiamo, la più diffusa forma di Totemismo è quella di clan, estensione della famiglia coniugale e raggruppamento di parentela unilaterale, costituito da varie famiglie, i cui membri sono legati da un unico capostipite dal quale discendono in linea paterna o materna. Nella fattispecie sindacale l’antenato mitico va ricercato nel pantheon dei padri fondatori socialisti, comunisti e cattolici. Quando gruppi diversi all’interno della stessa società traggono nome e identità da esseri mitici e soprannaturali (che si possono materializzare sotto forma animale, vegetale, umana, ma che sono in realtà forme visibili di essere superiori), questi totem affermano, simbolicamente, anche la superiore unità sociale, legata alle caratteristiche del fondatore mitico o a sue imprese all’origine del mondo e della civiltà. L’appartenenza al gruppo totemico sindacale, inoltre, consentirebbe la protezione dei singoli iscritti: con il proprio totem il gruppo non solo individua se stesso ma tende ad affermare la supremazia del suo clan, ne definisce la posizione sociale, proprietà e prerogative. Allora la Fornero voleva dire che l’identità clanica sindacale è primitiva ed è ora che passino a forme di organizzazione sociale più moderne? Dato che la ministra-professora non mi pare molto dotata di senso dell’umorismo, tendo a credere che abbia semplicemente fatto confusione tra totem e tabù e gli scocciasse ammetterlo, anche se può capitare. Oppure riprendeva la versione bonelliana del totem nei fumetti di Tex Willer, il palo/idolo da adorare, e palo della tortura al tempo stesso? Per una consulenza specifica farebbe bene a rivolgersi a Cofferati, che è un esperto nazionale di Tex.
In seguito, tutta la questione dell’articolo 18 è rientrata nell’ambito del tabù, da infrangere o meno. Tuttavia i tabù possono essere considerati come simboleggianti la struttura dei rapporti peculiari interni a un gruppo: la loro osservanza da parte degli individui serve a contrassegnare l’appartenenza al gruppo. La violazione del tabù è perciò distruttiva del sistema morale e della posizione dell’individuo in questo sistema. Quindi, se ne ricava, la semplice ipotesi di discutere l’articolo 18 sarebbe una violazione del tabù, provocherebbe la distruzione della dirigenza sindacale e metterebbe in serio pericolo l’organizzazione stessa. In realtà, in termini antropologici, il tabù riguardante il consumo della specie-totem può essere legittimamente trasgredito dal gruppo in situazioni eccezionali, per ottenere dal proprio totem particolari energie vitali. Tuttavia la reazione delle dirigenze sindacali sembra confermare il fatto che ogni discussione sia tabù, in senso tecnico (ironicamente) del termine: come per ogni tabù che si rispetti, l’interdizione non è motivata, e la sanzione prevista, in caso di violazione, non sarebbe nel nostro caso una punizione emanata dalla legge civile (che in Italia non esiste per queste violazioni), ma una calamità, come la morte o la cecità, che colpisce il colpevole. Se si discuterà dell’articolo 18 dovremo quindi aspettarci una versione all’italiana delle piaghe d’Egitto? Visto come vanno attualmente le cose in Egitto, ne vedremo delle belle.


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