Continua l’ignobile sceneggiata che vede protagonisti Totò Riina e il suo compagno d’ora d’aria nel carcere di Opera, che gli fa egregiamente da spalla. Sarebbero addirittura 1.300 le pagine riempite dalle trascrizioni delle confidenze del boss al suo collega di galera, frutto di intercettazioni eseguite dalla Direzione investigativa antimafia tra agosto e novembre 2013. Sapendo benissimo di essere intercettato, il boss dimostra una gran voglia di parlare e di tornare protagonista. Trovo però che sarebbe stato più corretto dargli direttamente in mano un microfono, invece che allestire questa ridicola messinscena. Una parte sceltissima di queste chiacchierate viene adesso pubblicata – a quasi un anno di distanza e a cadenza quasi quotidiana – da “La Repubblica”. Bastano e avanzano questi particolari per qualificare la serietà di tutta l’operazione. Ogni giorno porta la sua “rivelazione”: qualche giorno fa erano i 250 milioni (di lire, spero…) che Berlusconi versava negli anni ottanta alla mafia; l’altro giorno le minacce a Don Ciotti; ieri la cassaforte di Dalla Chiesa svuotata; oggi chissà… La verità è, invece, che Riina non ha più nulla da dire; e che anche se con le sue “rivelazioni” non può negoziare alcun sostanziale miglioramento della sua sorte carceraria, tuttavia avere un pubblico gli dà la possibilità di sentirsi ancora qualcuno, di sentirsi ancora vivo. Ed è per questo che, come spesso succede anche ai pentiti, spara senza troppo discernimento e con qualche goffaggine paroline e allusioni che possano titillare gli orecchi giusti, che possano avere la giusta risonanza là dove conta: nelle casematte dell’Italia della legalità, anch’esse affamate di protagonismo.
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