TOUCH (2012)
Ideatore: Tim Kring
Attori: Kiefer Sutherland, Titus Welliver, David Mazouz
Paese: USA
Orfana di “24”, serie tra le più seguite di sempre e che ha infatti portato ascolti alla FOX per qualcosa come dieci anni, l'emittente televisiva torna a puntare su Kiefer Sutherland, magari nella speranza che coloro che ancora piangono Jack Bauer tornino ad incollarsi alla poltrona solamente per rivederne il volto. È lui ad interpretare Martin Bohm (protagonista di “Touch”), ex giornalista che ha abbandonato il suo lavoro per dedicarsi al figlio autistico, Jake (David Mazouz); dopo la morte della moglie, nonché madre del bambino, Martin non ha fatto altro che lavorare per permettere al figlio di frequentare scuole adatte alla sua condizione e permettere a se stesso di stargli dietro. Jake, infatti, non mostra semplicemente problemi di comunicazione ma anche comportamentali, non volendo essere in nessun modo toccato e sfuggendo agli occhi del padre, come dei suoi insegnanti, per raggiungere luoghi che sembrano avere un senso solo per lui.
Espressione da interrogatorio di Jack Bauer
Il creatore della serie è un certo Tim Kring, lo stesso che per due stagioni ha fatto sperare in un ottimo prodotto, “Heroes”, crollato poi nel peggiore dei modi, tanto da essere sospeso dalla NBC dopo la quarta stagione. Molti hanno attribuito il calo allo sciopero che ci fu allora degli sceneggiatori, ma in realtà anche successivamente, dopo aver dichiarato che avrebbe ripreso in mano le redini del suo show, “Heroes” ha continuato a perdersi per strada, fino appunto alla sospensione. La sua mano in “Touch", in ogni caso, si distingue chiaramente; si avverte quel carattere “globale” attraverso cui Kring coinvolge nelle sue storie il mondo intero, creando connessioni tra un impiegato statunitense, un giovane arabo, una cantante irlandese ed un uomo d'affari in giro per i vari continenti. Lo aveva già fatto con i poteri dei suoi supereroi, ed ora lo rifà attraverso una leggenda orientale per cui ognuno è legato da un “filo rosso” a gente che deve necessariamente incontrare. E a quanto pare il compito di individuare tali fili è proprio del piccolo Jake.
Fin da subito, quindi, si impone quella seducente potenza narrativa insita in un soggetto così strutturato e non è un caso che Kring la concretizzi e cavalchi immediatamente. La scena passa pertanto senza sforzo alcuno da un paese all'altro, giocando sulla costruzione in crescendo della tensione. Quest'ultima è affidata per lo più alle rivelazioni, inizialmente non riconosciute come tali dai protagonisti, di Jack, che cerca di comunicare con sequenze di numeri che tornano in maniera sistematica. Ora, non è difficile capire dopo "Lost" quanto facilmente elementi e scelte di questo tipo si traducano in coinvolgimento per lo spettatore; è infatti molto semplice restarne affascinati, al punto che si potrebbero seguire per stagioni intere. Quello dello stereotipo tuttavia, come più volte si è scritto in questa sede, non è in sé un problema se usato con intelligenza ed onestà; nel momento, però, in cui si risolve in qualcosa oltreché di già visto anche privo di personalità, allora risulta al contrario assai deleterio. Se si considera poi uno sviluppo dei singoli passaggi di sceneggiatura, come in questo caso, davvero debole, allora a venirne fuori è un prodotto che non si distingue certo per qualità, non potendo essere sostenuto esclusivamente da un soggetto accattivante solo in potenza.
Basti pensare, per capire cosa si intende per "passaggi deboli", a Martin che cerca di scoprire cosa il figlio abbia di speciale. Si rivolge alla rete per comprendere una simile rivelazione e trova al primo colpo un sito sconosciuto, creato da un uomo che in 5 minuti gli spiega che il figlio praticamente vede il futuro, e lui accetta la notizia come se gli fosse stato detto che il suo nome è Martin. Sarebbe stato più difficile comprendere le capacità da veggente del figlio, se si fosse rivolto ad un ipotetico studio di consulenze su figli autistici e veggenti. Parentesi simili a questa per debolezza ce ne sono diverse già solo nel pilot – Jack che esce dalla macchina senza che Martin senta lo sportello; l'attenzione ingiustificata al video musicale; la centralinista esperta nel disinnescare bombe arabe e via discorrendo – e mostrano pericolosamente il profilo in assoluto più debole dello stile Kringhiano, ossia quello poco attento alla coerenza della sceneggiatura, che sacrifica in maniera anche grossolana la credibilità in nome dell'emotività e della spettacolarità. Un intreccio fantascientifico non implica infatti la possibilità di mettere in secondo piano quella solidità che lo stesso deve sempre e comunque mostrare.
Non gioca a favore della nuova serie della FOX neanche la scelta di affidare a Sutherland il ruolo principale, essendo come attore non così convincente; non essendolo, meglio, in ruoli che richiedono una gamma espressiva ampia come quella richiesta dal suo personaggio (non è un caso che nel recente “Melancholia” abbia offerto al contrario un'ottima prova). Fortunatamente, nel pilot – e si spera vengo riconfermato nelle puntate successive che andranno in onda a marzo - è presente anche Titus Welliver, caratterista capace di conferire ai personaggi che interpreta fascino e spessore: sarebbe sufficiente la sua espressione in chiusura, al termine dell'intervista, per rendere valida l'intera puntata.
I presupposti perché si riveli l'ennesimo prodotto precotto ma capace di rastrellare consensi a destra e a manca, ci sono tutti. Resta da capire se e quanta accortezza nella costruzione mostrerà la serie d'ora in avanti, perché nel caso lo faccia potrebbe anche rivelarsi un prodotto piacevole da seguire senza troppe pretese.