Nona tappa della Gran Boucle – 208 km da Issoire a Saint-Flour – , seconda tappa di montagna dopo una prima settimana monotona, dal punto di vista ciclistico, come poche altre nella storia e caratterizzata più dalle contestazioni a Contador e dalle cadute che non per imprese meritevoli di esser ricordate.
Seconda tappa di salita dicevamo, caratterizzata da otto gran premi della montagna tutti tra la seconda e la quarta categoria, parte quasi subito una fuga che il gruppo tiene sotto controllo in attesa del guizzo di qualche big, Contador e Basso su tutti che rispetto ai fratelli Schleck hanno accumulato un ritardo di un minuto l’italiano ed uno e quarantadue il due volte vincitore.
Ma anche oggi, incredibile a dirsi, le maggiori emozioni le regalano gli incidenti di percorso;
gara perfettamente in linea con la monotonia delle precedenti e maltempo che di certo non aiuta, a cento Km dall’arrivo ecco la prima caduta, a causa dell’asfalto viscido cadono diversi componenti del gruppo e chi ne fa le spese sono il kazaco Vinokourov che -trentottenne all’ultima stagione di una carriera ricca di soddisfazioni e con l’unico biettivo di ottenere una maglia gialla mai indossata in ventanni di professionismo – ci rimette il femore e chiude nel peggiore dei modi ed il belga Jurgen Van der Broeck,costretto al ritiro dalla lussazione della scapola.
La gara continua ed i fuggitivi incrementano il loro vantaggio visto che i big del gruppo rallentano in attesa di notizie sui due caduti – gli strascichi del Giro d’Italia sono ancora lì ed il ricordo della morte di Wouter Weylandt è fin troppo vivido- arrivando ad accumulare un ritardo superiore ai sette minuti.
Il peggio sebra passato ma a circa quaranta Km all’arrivo per i fuggitivi accade l’inimmaginabile, con un gesto folle l’autista di una tv francese che segue da vicino la testa della corsa affinaca i corridori per sopravanzarli, scarta improvvisamente verso il centro della carreggiata e colpisce in pieno lo spagnolo Juan Antonio Flecha che vola letteralmente per aria e ricade travolgendo Hoogerland, che fino a quel momento aveva lottato e conquistato punti importanti e che gli sono valsi alla fine la Maglia a Pois .
Johnny Hoogerland (classe 1983), eroe di giornata. Dopo essere finito sul filo spinato riesce a concludere la tappa tra lacrime e sofferenza.
L’olandese, colpito in pieno dal compagno di fuga, si ribalta e finisce con tutto il corpo sul filo spinato che delimita un campo ai margini della strada;
è una scena spaventosa, con i membri del team di Hoogerland che delicatamente liberano il ciclista, coperto di ferite e sangue su braccia e gambe, dal groviglio di filo spinato mentre la macchina killer, che più tardi si scoprirà aver accelerato perchè i suoi ospiti volevano arrivare in fretta al traguardo, scompare in piena velocità senza alcuna cura per i ciclisti travolti.
Ma il ciclismo piace perchè è fatto di gesti eroici che magari non regalano la vittoria di tappa ma entrano nel cuore degli appassionati e di cui Hoogerland si rende protagonista.
Fasciate le gambe e le braccia, in difficoltà già a reggersi in piedi a causa del dolore, l’olandese risale in sella e ricomincia a pedalare con il viso coperto di lacrime per la sofferenza.
Mentre lo spagnolo Sanchez taglia il traguardo ed il francese Thomas Voeckler torna ad indossare la maglia gialla dopo sette anni, Johnny Hoogerland continua a pedalare pesantemente verso l’arrivo, il suo obiettivo non è più vincere, non è nemmeno ottenere una Maglia a Pois che ha faticato per raggiungere, il suo obiettivo è tagliare il traguardo per dare un senso alla fatica ed al dolore, dimostrare che un pazzo in autyomobile non può rovinare il lavoro e la preparazione di settimane,l’occasione di una vita.
Quando l’olandese taglia il traguardo stravolto in volto e provato nel fisico, il pubblico lo accoglie con un’ovazione che si ripete quando in lacrime indossa la Maglia a Pois che s’è guadagnato;
è una storia di ciclismo vero questa, di un ciclismo d’altri tempi, un ciclismo che non entrerà negli annali e che ha per protagonista un corridore il cui nome si perderà nella nebbia dei tempi.
È un ciclismo, quello di Hoogerlan, che accende la passione, perchè stare in sella e sentire il rumore delle ruote sull’asfalto e la cadenza ritmica dei pedali crea sensazioni uniche che vanno oltre la fatica o l’agonismo, uno sport lontano da scandali e doping, dalla mondanità e dalla mediocrità che oggi lo travolgono e lo hanno allontanato dalla sua essenza più vera,dal cuore della gente.