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Tra carceri e fap-labs.

Creato il 01 febbraio 2014 da Lanta991

No, non è un refuso di stampa (il blog non si stampa, ofc) né tantomeno un banale errore di battitura. Il titolo è palesemente volontario, così come la foto che segue scattata dal maestro Henri Cartier-Bresson, e presto andremo a scoprire il perché.

prisonnier_revolte

Ieri notte, noi si era in birreria (come direbbero in Toscana). Tra un discorso e l’altro, alcuni finiscono con l’esplicitare alcune posizioni che personalmente non ho condiviso sui metodi punitivi per chi commette reati. La domanda che mi pongo, quindi, è… il carcere non basta?

La domanda non è banale, la tendenza a voler infierire su chi ha avuto torto o ha sbagliato in passato è tanta a volte. Ha un nome questa cosa, e si chiama vendetta, per quanto possa essere collettivizzata.

Eppure dall’altro lato bisogna considerare molti fattori, perché generalizzare è decisamente arduo ed assolutamente improprio. In che modo le forme attuali di detenzione incidono sui reclusi? La privazione della libertà ha conseguenze a livello psicologico? Statisticamente, quanti una volta usciti perseverano nei loro comportamenti deleteri alla società?

Per avere dei numeri sotto mano, chiedo al buon Google delle risposte: mi rimanda a questa pagina, a questo PDF e a quest’altro PDF, seppur vecchiotto. Nel complesso, oltre 60.000 i detenuti italiani. Di questi, solo a fini riflessivi, un 35% circa sono stranieri, un 4% donne, ed un significativo 39% reati dovuti alle droghe… ma ancora nessuna risposta alle mie domande. Mi viene in mente l’esperimento carcerario di Stanford, sul quale vi invito a documentarvi in maniera più approfondita, ma per quanto possa essere significativo è comunque poco attinente. Già più vicino al concetto a cui voglio arrivare sono i risultati ottenuti da Milgram.

Non sono un criminologo, tengo a sottolineare questa cosa, quindi i miei ragionamenti in questa pagina sono liberi di essere smentiti da chiunque sia più competente di me in materia. Ma quell’unico coglione che ieri al tavolo in birreria diceva di essere contrario a soluzioni alternative e più drastiche alla classica carcerazione come può essere la pena capitale, beh, ora vi dice anche che è facile lasciarsi trascinare e farsi influenzare quando la cosa non ci tocca in prima persona. Evitando cazzate religiose del tipo “il giudizio non spetta a noi”, dobbiamo riappropriarci del concetto di giustizia e misurare gli effetti delle decisioni che si prendono. Il tempo delle pippe mentali è finito, è tempo di riappropriarci della nostra dignità di esseri umani con il rispetto dei diritti altrui… eh beh, sì, anche di quelli che in passato questi diritti, per qualsiasi ragione, li hanno calpestati.


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